Era uno dei giocatori interisti più apprezzati, ma beveva 3 casse di birra al giorno | Finisce dentro per rissa

Un talento sprecato, tra alcol, eccessi e solitudine: la storia di uno degli interisti più apprezzati, dentro per rissa.
Non è tutto oro quello che luccica. Dietro la luce dei riflettori si nascondono ombre inquietanti, drammi personali inattesi. Non è raro che talenti purissimi, celebrati in campo, si ritrovino intrappolati in spirali di eccessi e autodistruzione.
Un cortocircuito devastante tra fama e fragilità. Le pressioni del professionismo, la solitudine e la ricchezza improvvisa agiscono talvolta come catalizzatori, trasformando vizi innocui in dipendenze mortali. Sono storie di campioni che, a dispetto dei successi, hanno pagato un prezzo altissimo al loro demone interiore, finendo per bruciare carriere e vite.
Tra gli interisti, un esempio emblematico è l’olandese Andy Van der Meyde, le cui memorie svelano un periodo nerazzurro fatto di alcool, cocaina, feste e notti brave, un declino che lo portò a un passo dalla morte.
Questi episodi, spesso sussurrati negli spogliatoi, testimoniano come il prestigio e lo status di “intoccabile” non siano sufficienti a proteggere gli atleti da un baratro emotivo e psicologico sempre in agguato, pronto a presentare il conto.
Un epilogo sconcertante
Un nome in particolare, amatissimo dalla tifoseria per la sua potenza e i suoi gol decisivi, è tornato di recente alla ribalta per un epilogo sconcertante. Per anni, i tifosi nerazzurri hanno apprezzato il carisma di Fredy Guarin, ignorando o sottovalutando i segnali di un malessere crescente che lo stava consumando.
La verità è emersa con una violenza inaudita, rivelando una doppia vita di devastante fragilità. Si scopre che dietro il calciatore stimato e potente si nascondeva un uomo che aveva perso la bussola, arrivando a bere l’equivalente di tre casse di birra al giorno, talvolta anche 60 o 70 birre in una sola notte.

Una carriera scivolata via
La discesa agli inferi ha raggiunto il suo culmine lontano dall’Italia, dove la mancanza di punti di riferimento e la solitudine hanno accentuato la sua dipendenza. La carriera è scivolata via tra periodi bui, ma la disperazione più nera lo ha colto lontano dai campi che contano, precipitando in un abisso di autodistruzione.
L’epilogo più drammatico, l’allarme per una rissa familiare che lo ha portato in manette, è solo la punta dell’iceberg di un disagio ben più profondo, che lo ha visto sfiorare la fine. L’ex pilastro del centrocampo interista ha confessato di essere stato salvato dal suicidio solo da una rete di protezione installata sul balcone del suo appartamento. Un filo sottile, di natura meramente fisica, che ha impedito un gesto estremo, ma che non ha fermato il precipitare della sua vita in uno scenario di caos e violenza. La sua storia, un monito amaro sulla fragilità di molti calciatori.
