“Si è presentato con la 10, ma ho rifiutato”: doccia gelata al D.S., terremoto nella trattativa I Il ribaltone è tutto in una telefonata

La 10 non è una maglia qualunque, c’è chi l’ha rifiutata quando un d.s. gliel’ha portata. Poi il ribaltone, tutto in una telefonata.
C’è un’aura che circonda il numero 10. A tal punto da trasformarla in femminile. Emana qualcosa di molto simile a una leggenda che si alimenta partita dopo partita, decennio dopo decennio. Non è solo un numero stampato sulla schiena: è un’eredità.
Chi lo indossa accetta, consapevolmente o meno, il peso della responsabilità, dell’estro, della genialità. Il numero 10 non è per tutti. È per i diversi. È per i visionari. Sin dagli albori del calcio moderno, la 10 è stato sinonimo di fantasia e leadership.
In origine, nella numerazione tradizionale, corrispondeva al trequartista, colui che giostrava tra centrocampo e attacco, l’anima del gioco. Ma con il tempo, quel numero ha iniziato a significare molto di più: è diventato un simbolo.
Da Pelé a Diego Armando Maradona, da Roberto Baggio a Francesco Totti, da Lionel Messi a Luka Modrić, chi ha vestito la maglia numero 10 ha lasciato un’impronta indelebile nella storia del calcio. E non è un caso. Perché per indossarla servono talento, ma anche carisma e visione. Non basta essere bravi: bisogna essere unici.
La 10 giallorossa
Il 10 incarna la libertà in campo. Non è vincolato da schemi, è l’interprete libero del gioco. È colui che vede ciò che gli altri non vedono, che inventa dove gli altri si limitano a eseguire. È l’artista in una squadra di operai. In due parole: Francesco Totti.
La 10 al Pupone è come un abito su misura. L’ha saputa portare anche a costo di rinunciare alle Champions che avrebbe vinto con il Real Madrid, o in qualsiasi altra squadra dove sarebbe andato. Ha preferito restare con la 10 giallorosso.

Un suo erede?
Tiago Pinto, allora d.s. della Roma l’aveva offerta a Dybala, il suo più grande colpo dell’esperienza in giallorosso. “Si è presentato con la maglia numero dieci. Totti è stato il numero dieci della Roma ed è stato amatissimo dalla gente”. Quella 10 giallorossa è un peso difficile da sostenere. “Per quello che rappresenta Totti per questa città – continua Dybala su Sport Illustrated – ovviamente ho pensato non fosse il momento adatto per fare una cosa del genere”.
Se Dybala è venuto alla Roma, però, il merito è stato di José Mourinho: “È speciale, un allenatore che ha vinto tutto, una persona unica. Non potevo ignorare la sua chiamata”. Pian piano, prima del sì, un po’ di convenevoli alla stregua di un ribaltone: “Sapevo che mi avrebbe convinto, ed è per questo che ho voluto aspettare – chiosa – la prima volta abbiamo solo avuto una bella chiacchierata, è stata una lunga conversazione, ma non ha fatto pressione. Ne ho parlato in famiglia, poi gli ho mandato un messaggio dicendogli: ‘A presto’. E con quello abbiamo concluso l’affare”. Il resto è storia.