Attenzione alla sostanza e alla forma e un buon occhio critico: nel calcio e nell'arte. Jonathan Zebina si è portato tutto questo con sé nella sua carriera da giocatore: ha amato il pallone, ha cercato sempre di fare calcio al massimo delle sue possibilità ed è riuscito a guardare sempre le cose con un certo distacco anche negli anni in cui ha indossato la maglia della Juve e della Roma ed è diventato campione d'Italia. L'estate 2006 gli ha cambiato la vita rendendolo un uomo più forte, quello che oggi si racconta con lucidità e onestà. Il calcio lo appassiona ancora, ma non sarà il suo futuro: oggi Zebina sogna un seconda vita all'insegna dell'arte, l'altro campo in cui il terzino francese classe '78 si sente pienamente se stesso. Senza pallone il calcio non fa più per lui, anche se ne parla ancora con grande piacere.
interviste
Zebina: “Senza pallone per me non è più calcio, oggi faccio solo arte. Batistuta il più carismatico, Thuram il più intelligente. Balotelli a Brescia è una scommessa vincente. Calciopoli la sfida più difficile…”
Per lui il calcio è stato tutto e non ha smesso di esserlo, anche se oggi lo guarda da un'altra prospettiva. Jonathan Zebina è stato campione d'Italia e quando è caduto nel 2006 ha saputo rialzarsi insieme alla Juve. Il calcio è ancora il suo...

Jonathan, come è stato smettere di giocare a calcio?
Ho smesso con un po' di anticipo. Sapevo che farlo non sarebbe stato piacevole quindi ho deciso di anticipare questo passo e posso dire di averlo assorbito abbastanza bene. Sapevo che c'era una deadline nella mia carriera: il corpo di un calciatore invecchia. Col passare del tempo devi scendere di livello. Sono arrivato fin dove ho potuto: ho giocato fino a 34 anni, a un certo punto della mia carriera non pensavo che sarebbe stato possibile. Ogni tanto mi ritornano in mente i ricordi di quando giocavo. Voglio avere una seconda vita ricca di successi e di sfide come è stata la prima.
Che cosa ha fatto dopo aver smesso? So che è appassionato di arte...
Quando ho scoperto la passione per l'arte ho capito che mi avrebbe accompagnato nella mia seconda vita. Parlo di arte nel senso più generale del termine: parlo di architettura a 360 gradi. Ho avuto una galleria d'arte. Oggi sto lavorando e sto pensando di ritornare a lavorare nel campo artistico, per adesso però non c'è ancora niente di concreto. So che non tornerò a fare un lavoro che abbia a che fare col calcio.

Lei ha occhio per riconoscere i grandi quadri: quale è stato l'artista più grande con cui ha giocato?
Il più carismatico a Roma è stato Batistuta. Ho giocato con tanti giocatori talentuosi ed è difficile sceglierne uno. Forse Lilian Thuram è stato quello che è andato oltre i suoi limiti con la forza mentale. Poi c'è stato anche Francesco Totti. Nella squadra dello scudetto a Roma erano tutti eccezionali, in quella dello scudetto con la Juve erano tutti campioni del mondo. Mi hanno impressionato i giocatori che sono riusciti ad andare oltre se stessi col lavoro oltre al talento che avevano. Thuram era un predestinato: si sapeva che avrebbe fatto cose eccezionali, ma ha voluto di più e la sua carriera si è trasformata in qualcosa di straordinario. Quando vedo Pavel Nedved ripenso a quando faceva i giri di campo: ti fa capire che puoi avere tutto il talento del mondo, ma è solo col lavoro che arrivi lontano.
Che cosa significa vincere a Roma?
Vincere a Roma è una sfida immensa: stiamo parlando di una piazza dove tutto è stranamente predisposto perché un giocatore non riesca ad esprimersi al massimo. C'è una pressione che va al di là del normale e diventa negativa. Devi saper domare una piazza che è molto difficile. Non penso che sia una questione di mentalità vincente. Non penso che i giocatori di Roma lavorino meno rispetto a quelli di Torino. Se una squadra vince molto spesso è il risultato dell'equilibrio della società. Penso che Roma sia una piazza molto difficile perchè è molto calda. Vincere lì è stata la sfida più difficile della mia carriera ed è stato meraviglioso riuscirci.

Come vede la Roma di oggi?
Oggi non c'è più quello che conoscevo io. Era rimasto Daniele, ma è andato via anche lui. Via Totti, via De Rossi: questo è stato il grande film della stagione passata. Penso che sia importante che ci sia gente che senta questa squadra come la sua seconda pelle o addirittura la prima. Servono persone che sappiano trasmettere equilibrio. Sono sicuro che Francesco e Daniele riavranno un giorno un ruolo importante in questa società: me lo auguro.
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