Il tempo passa, ma lui non passa mai. Pasquale Luiso da Aversa è rimasto nella storia del calcio come il "Toro di Sora": un soprannome che trae ispirazione dalla sua attitudine ad incornare gli avversari col pallone nel cuore degli Anni '90, ma anche un tributo alla città dove ha conosciuto l'amore e fatto calcio da giocatore prima e da allenatore poi. Basta dire Luiso per rievocare le "notti magiche vicentine" della primavera del '98, quando il club biancorosso ha sfiorato la finale di Coppa delle Coppe, negatagli dal Chelsea di Gianluca Vialli e Gianfranco Zola. Nomi di un altro calcio, in cui forse c'erano più uomini veri, che facevano di tutto per recuperare dopo un infortunio. Luiso, l'uomo della "Macarena piacentina", ama ancora lo sport che è stato tutto per lui, nonostante trovare il proprio posto al sole nel calcio sia tutt'altro che semplice. Un "Toro" come lui però non ha alcuna intenzione di mollare.
interviste
Luiso: “Per allenare oggi devi metterti la dignità sotto le scarpe. Ronaldo? Per me quello vero è l’altro…”
Il "Toro di Sora" non passa mai di moda, nonostante siano trascorsi undici anni dalla sua ultima stagione da professionista. Oggi Pasquale Luiso ha messo i gol e la "Macarena" da parte e cerca il suo posto al sole nel mondo del calcio sotto altre...

Pasquale, come è stato smettere di giocare? Le manca il calcio?
Mi manca, ma è normale: a chi non manca dopo un po' di tempo? Però capisci che devi fermarti quando il fisico te lo dice. Mi manca l'adrenalina della partita e il post-gara e molte altre cose: sono tutte sensazioni che non provi più dopo aver smesso. Però la vita è fatta così e va accettato.
Come era il suo calcio rispetto a quello di oggi?
A ognuno piace il suo calcio. Tra il nostro e quello di oggi c'è un abisso a livello economico: oggi si guadagna molto di più e sembra più facile fare soldi, prima era molto più difficile. Però è diverso anche qualitativamente: io ho affrontato gente come Zidane, Cannavaro, Nesta e Deschamps, campioni che farebbero faville nei campionati di oggi.
Pensa che il calcio attuale sia più finto rispetto al suo?
Il fattore principale del calcio di oggi è il business, che prima non esisteva. Oggi la televisione ti porta negli spogliatoi, tra un po' ti portano anche sotto la doccia... Non voglio giudicare il calcio di oggi, ma io non lo cambierei mai con quello che ho fatto io negli Anni '90.
I giovani calciatori di oggi sono più fragili rispetto a voi?
Sì, se oggi ti procuri uno stiramento o una distorsione alla caviglia stai fuori un'eternità, quando mi facevo male io invece volevo recuperare nel minor tempo possibile. Poi eravamo veramente campioni: mi sono dimenticato di citare Bobo Vieri e Ronaldo quello vero. Cristiano Ronaldo non è finto, ma per me il Ronaldo vero era quello lì.
A proposito di carattere: lei ha dimostrato di averne facendo sali e scendi tra le varie categorie...
Sono partito dalla B e sono salito in A, poi sono risceso in B, quindi in C e ho chiuso la mia carriera in Promozione con la maglia del Sora, perché volevo chiudere così. Poi ho cominciato a fare l'allenatore e sono partito da Sora in Eccellenza e ho vinto il campionato. Ora sto cercando di farmi spazio come allenatore, ma è molto molto difficile.
Perché è difficile trovare una squadra oggi?
Se alleni non conta quello che hai fatto prima e devi metterti la dignità sotto i piedi. Devi chiamare tutti e proporti. Ho fatto la gavetta da calciatore e la sto facendo da allenatore: Eccellenza, Serie D, Primavera, quindi la C un anno fa a Fondi e adesso sto aspettando una chiamata. Vado spesso a seguire gli allenamenti dei miei colleghi. L'occasione non arriva solo se sei bravo, per allenare servono conoscenze. Io chiamo tutti e faccio capire che ho voglia. Purtroppo non sono l'unico a chiamare, ci sono più allenatori che squadre. Ho avuto una grande occasione con la Primavera del Vicenza due anni fa, poi però è fallito tutto e sono rientrato a casa. Ho avuto un'opportunità a Fondi, dove ho perso lo spareggio dei play-out con la Paganese in C. Ora mi sto proponendo: mi piace fare questo mestiere e ho intenzione di insistere.
A quali allenatori si ispira? Che maestri ha avuto?
Ho avuti tantissimi allenatori, ma i miei punti di riferimento a livello tattico sono due. Il primo è Guidolin, che mi ha trasmesso tanto perché quando allenava lui si giocava davvero a calcio. L'altro è Reja, un grandissimo motivatore e un grande uomo spogliatoio. Guidolin ha scelto di uscire dal giro perché ha bisogno di grosse motivazioni: secondo me il Verona sarebbe stato il top per lui, ma non se ne è fatto niente. Reja voleva una nazionale e ha trovato l'Albania. Oggi ci sono tanti allenatori giovani: De Zerbi del Sassuolo, Alessio Dionisi è andato al Venezia e tutti ne parlano bene. Penso che chi ha giocato a calcio abbia un vantaggio in più se allena, perché sa come gestire uno spogliatoio.
© RIPRODUZIONE RISERVATA