Tra il Triplete di Pep Guardiola e quello di Luis Enrique c'è una ferita che a Barcellona difficilmente si rimarginerà a breve. Una ferita che ha il sorriso malinconico di Francesc Vilanova i Bayó, per tutti semplicemente Tito. L'uomo che avrebbe dovuto portare quel Barça, quello in cui Messi brillava col suo massimo splendore, in cui c'erano ancora Puyol, Xavi e Iniesta e in cui stava per arrivare anche Neymar, nella leggenda. Lui, che di Guardiola era stato amico e fedele vice, che per Pep e per i colori blaugrana si era preso addirittura un dito nell'occhio da Mourinho, un qualcosa di cui lo Special One ancora oggi si pente amaramente. Il futuro per Tito sembrava brillante. Ma è durato troppo poco.
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Don’t Cross the Boss – La clemenza di Tito: otto anni senza Vilanova, ferita eterna del cuore blaugrana
Tra il Triplete di Pep Guardiola e quello di Luis Enrique c'è una ferita che a Barcellona difficilmente si rimarginerà a breve. Una ferita che ha il sorriso malinconico di Francesc Vilanova i Bayó, per tutti semplicemente Tito.
Giusto il tempo di andare ad affiancare proprio il portoghese in un club abbastanza ristretto, quello dei tecnici in grado di portare una squadra spagnola a raggiungere i 100 punti. Un qualcosa che neanche Pep e Luis, con i loro due Triplete, sono riusciti a fare, staccando di 15 punti un Real Madrid che nella stagione successiva avrebbe conquistato la tanto agognata Decima. Quel campionato, l'unico trofeo nella sua bacheca come primo allenatore, Tito non se lo godrà mai. Dal 2011 combatte contro un tumore alla ghiandola parotide, che lo costringe di tanto in tanto a fermarsi per le cure. Il primo stop arriva quando è ancora il secondo di Guardiola, il secondo in piena stagione 2012/13. Al termine dell'annata, l'addio alla panchina è definitivo. È il 25 aprile 2014 quando il mondo del calcio viene a sapere della morte di Vilanova. Proprio nel giorno in cui di solito a Barcellona si festeggia il compleanno più grande (e Messi non ce ne abbia a male, ma come allenatore non possiamo ancora sapere cosa potrà e vorrà combinare). Le 57 candeline di Johan Cruijff, che se ne andrà anche lui in capo a due anni, sono tra le più amare.
Perchè con Tito, che nel Barça era nato e cresciuto, prima di andare a cercare fortuna altrove e poi tornare assieme all'amico di sempre Pep, se ne va un pezzo di cuore blaugrana. Come aveva detto Zubizarreta al momento dell'avvicendamento tra Guardiola e il suo successore, "Vilanova rappresenta il Barça". Nei messaggi di cordoglio che arrivano da ogni dove, si ricorda un tecnico capace, ma soprattutto un essere umano eccezionale. Persino in un mondo cinico come quello del calcio, in cui le voci fuori dal coro quasi sempre non tacciono neanche davanti alla morte, nessuno ha il coraggio, o meglio, la possibilità di dire una parola fuori posto. Il suo Barcellona, ferito nell'animo e affidato al "Tata Martino", non riuscirà a dedicargli nulla. Ci vorrà Luis Enrique, un altro di quelli che il Barça l'hanno vissuto sulla loro pelle, per tornare a vincere tutto.
Qualcuno si chiedeva e si chiede ancora come sarebbero andate le cose se quella squadra Vilanova l'avesse guidata più a lungo. Ma è una domanda sbagliata, almeno per lo spirito del club. Tito, come Johan, non se n'è mai andato. Il suo modo di intendere il calcio viaggia con chi l'ha conosciuto come amico e collega, ma anche come tecnico e ora ne segue le orme. E per quanto otto anni comincino a essere tanti e ci siano tanti nuovi tifosi del Barça e di calcio che non lo ricordano neanche, continua ad avere ragione lo striscione che un Camp Nou listato a lutto gli ha dedicato. Tito è per sempre. È eterno. Come il ricordo e la ferita che ha lasciato nel cuore blaugrana.
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