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Don’t Cross the Boss – Kasper Hjulmand e Christian Eriksen, il coraggio di affrontare la paura

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Per completare il ritorno di Eriksen mancava soltanto la convocazione in nazionale. E chissà cos'è passato per la testa del CT. Avrebbe avuto il coraggio di spedire di nuovo in campo un ragazzo che per qualche minuto ha pensato di aver perso?

Francesco Cavallini

Sono passati appena nove mesi dal 12 giugno 2021, quando al Parken di Copenhagen il cuore di Christian Eriksen si è improvvisamente fermato. Quelle scene sono ancora sotto gli occhi di tutti. La squadra che si schiera compatta per evitare gli sguardi (tanto indiscreti quanto preoccupati) del pubblico, i soccorsi tempestivi e fondamentali, Kjaer e Schmeichel che accolgono in campo la moglie dell'allora interista e infine quel pollice alto verso le telecamere, per dimostrare che nonostante la grande paura il trequartista ce l'aveva fatta. Ma forse nessuno quel giorno ha ricevuto un pugno in pieno stomaco come il CT Kasper Hjulmand. Se un allenatore per i suoi ragazzi è come un padre, allora il tecnico danese è davvero un genitore sfortunato.

Quando tutto si è calmato e le condizioni di Eriksen sono migliorate, l'allenatore ha spiegato che quelle scene avevano ricordato a tutti quali siano i veri valori più importanti della vita. Non che lui ne avesse ulteriormente bisogno, visto che nel 2009 aveva già vissuto qualcosa di molto simile. Hjulmand infatti era in campo a Hvidovre quasi tredici anni fa, quando un incidente altrettanto inatteso ha posto fine alla carriera di Jonathan Richter, calciatore del Nordsjælland. Il tecnico all’epoca era il vice di Morten Wieghorst, che ora è suo assistente in nazionale, e ha assistito al fulmine che ha colpito Richter nel mezzo del campo durante un’amichevole, causando allo sfortunato calciatore un arresto cardiaco durato 41 minuti. Come nel caso di Eriksen, i soccorsi sono stati fondamentali e hanno permesso al classe 1985 di sopravvivere, anche se è rimasto in coma per tre settimane e per evitare complicazioni l’equipe medica che lo aveva in cura ha dovuto amputargli parte della gamba.

Dunque, Richter ha dovuto smettere di giocare. Ma Eriksen no. Il trequartista si è rialzato, ha ricominciato ad allenarsi con un defibrillatore installato sotto la pelle e, nonostante abbia dovuto lasciare l'Inter per l'impossibilità di ottenere l'idoneità sportiva, si è rimesso in gioco altrove. Al Brentford ha trovato un'altra faccia amica, quella di Thomas Frank, ex CT delle giovanili danesi, oltre alla possibilità di tornare a vivere a Londra, dove la sua famiglia è ben ambientata. E a poco più di otto mesi da quel giorno a Copenhagen, è tornato in campo in Premier League. Per chiudere il cerchio mancava soltanto una cosa, la convocazione in nazionale. Frank ha spiegato che era una scelta che dipendeva esclusivamente da Hjulmand. E chissà cos'è passato per la testa del selezionatore. Avrebbe avuto il coraggio di affrontare la paura, di spedire di nuovo in campo un ragazzo che per qualche minuto ha già pensato di aver perso? Ma se ce l'ha fatta il calciatore, anche lui poteva. Anzi, forse doveva. E quindi nelle convocazioni per le amichevoli contro Paesi Bassi e Serbia, il nome di Christian Eriksen c'è. Per la gioia di tutti, ma soprattutto del CT.