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Il dovere di lealtà come obbligo cardine della giustizia sportiva

Di Francesco Paolo Traisci. Il Fair Play è il valore centrale dell'etica dello sport, ma non basta la sua esaltazione. E per questo il dovere di lealtà è diventato un canone normativo. Non più solamente un valore etico, ma un obbligo giuridico.

Francesco Paolo Traisci

Il Fair Play è il valore centrale di un’etica dello sport, di un approccio mentale che deve caratterizzare ogni aspetto della attività sportiva, dalla sua regolamentazione alla sua pratica. Ma non è bastata la sua esaltazione come valore etico per far sì che lo sport conservasse il suo alto spirito morale ed il suo ruolo di modello nell’educazione delle nuove generazioni. Per questo oggi la lealtà è qualcosa di più...

DOVERE DI LEALTÁ - Il dovere di lealtà è diventato un canone normativo. Non più solamente un valore etico, ma un obbligo giuridico nel quale è stato tradotto questo valore etico. Ed infatti, insieme alla correttezza ed alla probità, la lealtà è uno dei doveri fondamentali inderogabili e obbligatori, specificati dal Codice di Comportamento sportivo del CONI. E proprio per questo deve essere ripreso anche dai Regolamenti del CONI e delle Federazioni, ed imposti a tutti i loro tesserati, che abbiano la qualità di atleti, dirigenti, ufficiali di gara ed altri soggetti specifici dell’ordinamento sportivo, ed addirittura a coloro che non sono soggetti ma che si trovano in alcune situazioni specifiche legate all’attività sportiva. Questo lo dice esplicitamente la Premessa del Codice stesso.

OBBLIGHI E DIVIETI - L’importanza di questo principio è tale che la dottrina prima contrappone fra loro i doveri di lealtà e di osservanza delle norme statutarie dell’ordinamento sportivo contenute nei primi due articoli e poi li distingue da tutti gli altri doveri propri dell’ordinamento sportivo, alcuni dei quali declinati in modo negativo, sotto forma di divieti, ed altri sotto forma di obblighi. Si tratta quindi di divieti di tenere determinati comportamenti specifici, quali quelli di:

1) alterare risultati sportivi, art. 3

2) svolgere attività contraria a normativa antidoping o comunque nociva della salute art. 4;

3) tenere comportamenti e dichiarazioni inneggianti alla violenza o lesivi dell’integrità fisica e morale degli avversari, art. 5

4) tenere comportamenti discriminatori, art. 6

5) formulare dichiarazioni lesive della reputazione e della dignità di altri componenti dell’ordinamento sportivo, art. 7;

6) divulgare informazioni su procedimenti sportivi prima che siano resi pubblici, art. 8;

7) comportarsi con imparzialità evitando disparità di trattamento e di accettare doni e somme di denaro, art. 9;

8) prevenire i conflitti di interesse, divieto compimento atti nell’interesse personale e divieto di scommesse su risultati di competizioni sportive al quale si partecipi o si abbia interesse, art. 10;

Ed obblighi di tenere determinati comportamenti, quali:

9) tutelare l’onorabilità degli organi sportivi, art. 11;

10) collaborazione con il garante del Codice di comportamento sportivo (art. 12).

Comportamenti specifici quindi la cui violazione, in realtà, potrebbe essere ritenuta contraria ad un generale principio di lealtà e correttezza definito (in modo come vedremo molto generico) nell’art. 2. Rispetto alle norme che disciplinano questi obblighi, molto più generiche, per ragioni diverse però, sono le prime due norme dedicate all’obbligo di rispettare le regole sportive e, appunto, a quello di lealtà.

 Il cartellino verde, che segnala un comportamento leale da parte di un calciatore

GIUDIZIO E SANZIONABILITÁ - E, se la prima è una norma di richiamo, ribadisce l’obbligo del rispetto dell’ordinamento sportivo da parte dei suoi componenti (e, a volte, anche di chi non ne fa parte), il vero punto nodale è rappresentato proprio dal dovere di lealtà e correttezza dell’art. 2. Leggiamolo: “tesserati, affiliati ed altri soggetti dell’ordinamento sportivo devono comportarsi secondo i principi di lealtà e correttezza in ogni funzione prestazione o rapporto comunque riferibile all’attività sportiva. I tesserati e gli altri soggetti dell’ordinamento cooperano attivamente all’ordinata e civile convivenza sportiva”.

Ma che cos’è la lealtà sportiva? Una formula che sfugge ad ogni definizione contenutistica e che pare messa in mano al giudice per punire comportamenti non consoni allo “spirito sportivo”. Si tratta quindi di un concetto ampio, aperto... Ma fino a che punto? Ragionando con gli schemi del diritto ordinario, civile ed a maggior ragione penale, siamo abituati ad un concetto di tassatività che mal si abbina con quello sportivo e che peraltro pare ripreso in tutti gli altri principi, sia nell’art. 1 la cui tassatività è data dal richiamo alle norme regolamentari, statutarie ed altre, sia negli altri principi che vietano specifici comportamenti.

Ma nel caso della lealtà (e della correttezza che le è abbinata nel dispositivo della norma, ma non nel titolo dell’articolo), questa tassatività manca del tutto. Infatti per il diritto penale (e quindi quel diritto che per la sua funzione sanzionatoria più si avvicina a quello della giustizia sportiva), il reato e quindi il comportamento censurato e punito è fisso: se io mi comporto in un certo modo pago, altrimenti no. Se rubbo un portafoglio sono punito (o dovrei esserlo) se invece non compio esattamente quella azione rimango nel lecito e quindi nel non penalmente rilevante ai fini della sanzione. È la violazione della legge che rileva ai fini della sanzionabilità del comportamento.

LEALTÁ NON CODIFICABILE - Nel caso del diritto sportivo, invece, c’è un esplicito e generale obbligo di lealtà che affianca il rispetto delle norme scritte siano esse contenute nei regolamenti, nelle direttive e negli altri atti che formalmente costituiscono l’ordinamento sportivo. Lealtà (e correttezza) che invece non sono codificate. La violazione dell’obbligo di lealtà deve quindi essere valutata caso per caso dalla giustizia sportiva, secondo le differenti declinazioni che esso assume nelle regole che si sono date le varie Federazioni, sempre però partendo dai principi generali dello sport del CONI. Il principio di lealtà sportiva costituisce poi anche una clausola generale (come ad esempio nel diritto civile il principio di buona fede o l’obbligo di diligenza) che oltre ad essere una regola essa stessa, diventa un modo di valutare il comportamento ed il rispetto delle regole scritte. È un parametro caratteristico e specifico dell’ordinamento sportivo, al quale debbono conformarsi tutte le condotte nel mondo dello sport, consentendogli di essere coeso e coerente, a prescindere dalle pratiche sportive e dalle singole regole tecniche e permettendo di sanzionare comportamenti che valutati in modo asettico non costituirebbero violazione delle regole.

DIPENDE DALLE FEDERAZIONI - In generale il dovere di lealtà è entrambe queste cose, così è previsto nei Principi generali dello sport, ma poi bisogna anche vedere come concretamente come viene ripreso nelle singole discipline sportive, proprio perché il principio generale formulato dall’art. 2 ha trovato applicazione a cascata nelle normative delle singole federazioni (Discipline Sportive associate, Enti di promozione dello sport ecc.). Come ad esempio nel Regolamento di Giustizia della FIP (Basket), che all’art. 2 n. 1 recita: “Tutti i tesserati, i giocatori, gli allenatori, i dirigenti delle società affiliate, gli arbitri, gli ufficiali di campo e tutti gli associati in genere hanno il dovere di comportarsi con lealtà e correttezza, osservando scrupolosamente tutte le disposizioni che regolano l'esercizio e la partecipazione allo sport in generale ed alla pallacanestro in particolare” Il n. 2 poi prevede un divieto specifico di esprimere pubblicamente giudizi o rilievi lesivi della reputazione di persone o enti operanti nell'ambito federale e di divulgazione di notizie o informazioni che riguardino fatti per i quali siano in corso di emanazione provvedimenti da parte degli Organi di Giustizia federale, mentre il n. 3 impone a tutti i tesserati l’obbligo di osservare il Codice di comportamento sportivo, dichiarando che la sua violazione costituisce grave inadempienza, passibile di adeguate sanzioni. Nel basket quindi il dovere di lealtà si lega all’osservazione scrupolosa delle norme sportive.

REGOLAMENTO FIGC - Il più specifico di tutti è poi il Regolamento di Giustizia della FIGC, il cui art. 1 bis mette il principio di lealtà accanto a quello del rispetto della legge, dicendo quindi che è qualcosa di ulteriore, ma non lo definisce in alcun modo. Ecco l’art. 1bis: “1. Le società, i dirigenti, gli atleti, i tecnici, gli ufficiali di gara e ogni altro soggetto che svolge attività di carattere agonistico, tecnico, organizzativo, decisionale o comunque rilevante per l’ordinamento federale, sono tenuti all'osservanza delle norme e degli atti federali e devono comportarsi secondo i principi di lealtà, correttezza e probità in ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva”.In modo simile, il Regolamento Giurisdizionale della FIPAV all’art. 1 che afferma “I tesserati, gli affiliati e gli altri soggetti la cui attività sia rilevante per l’ordinamento federale, rispettano i principi dell’ordinamento giuridico sportivo e le disposizioni dello Statuto e dei Regolamenti federali; osservano condotte conformi ai principi della lealtà (fair play), della probità e della rettitudine sportiva; ripudiano ogni forma di illecito sportivo, l’uso di metodi vietati e di sostanze vietate, la violenza fisica e verbale e la corruzione”.

APPLICAZIONI - Da questo breve esame emerge un dovere di lealtà, che volutamente non viene definito in modo concreto in nessun regolamento e quindi deve trovare una sua propria definizione nella concreta applicazione da parte degli organi della giustizia delle varie federazioni. Prendiamo alcuni casi dalle recenti cronache. Alcune volte l’obbligo di lealtà viene utilizzato per sanzionare comportamenti non vietati ma che tendono ad aggirare, rispettandole, le regole dell’ordinamento sportivo. Le norme vengono formalmente rispettate ma il risultato che esse impedirebbero di raggiungere viene raggiunto. È questa l’interpretazione che ha dato al dovere di lealtà il procuratore federale FIGC in un recente procedimento contro il Presidente della Lazio Claudio Lotito (e contro la Lazio), deferito per la nota vicenda della apertura della Curva Sud, solitamente chiusa, con la vendita dei relativi biglietti a prezzi di favore per gli abbonati della Curva Nord, chiuso per quella gara per una sanzione del giudice sportivo. 

CASO LOTITO - CURVA SUD - I fatti sono noti a tutti e peraltro li commentammo a più riprese qui su Il Posticipo. Sintetizzandoli possiamo ricordare che il presidente fu deferito dal procuratore FIGC che aveva rinvenuto un comportamento sleale nella volontà di aggirare una sanzione consentendo, ai tifosi penalizzati dalla chiusura della curva in cui erano abbonati, di non scontare la pena e poter comunque assistere alla partita dalla curva opposta, aperta per l’occasione ed a loro dedicata. Ma fu bloccato dal Tribunale Federale che non ritenne sleale il comportamento perché la sanzione della chiusura della curva non è una sanzione contro i tifosi che si sono macchiati di comportamenti deplorevoli (per quello c’è il DASPO), ma alla società che paga le colpe dei tifosi in virtù del meccanismo della responsabilità oggettiva. Nessuna volontà di aggirare la sanzione, nessun comportamento sleale. Quindi in questo caso l’obbligo di lealtà sarebbe stato evocato per sanzionare un comportamento malizioso, un aggiramento volontario di una regola, di chi, senza violarla apertamente ne avrebbe tradito lo spirito, ottenendo il risultato che essa vieta di raggiungere. È vero che poi il Presidente Lotito non è stato condannato, ma ciò non fa che confermare questo modo di interpretare il divieto.

CASO AGNELLI - TIFOSI - Altre volte il divieto di tenere un comportamento sleale viene considerato norma generica il cui contenuto viene poi specificato, ma solo a livello esemplificativo, nei divieti relativi a specifici comportamenti. E’ il caso della condanna dei dirigenti della Juventus, Presidente Agnelli in testa, per i rapporti intrattenuti con alcuni gruppi di tifosi, legati, secondo le accuse, a frange della malavita organizzata. Sintetizzando una vicenda anche in questo caso a tutti nota e che abbiamo commentato, nelle sue varie fasi, su Il Posticipo, Agnelli ed alcuni dirigenti della Vecchia Signora, sono stati condannati (insieme anche alla Società) per aver intrattenuto rapporti vietati con i tifosi concedendo loro biglietti a condizioni di favore e in violazione ad alcune regole che impongono la nominatività dei biglietti e per aver consentito l’ingresso nello stadio di materiali e striscioni proibiti. Nel deferimento e nelle condanne (del Tribunale federale, in primo grado, e della Corte di Appello) la violazione dell’obbligo di lealtà è quindi abbinata alla violazione di altri obblighi specifici. Ma poi al momento di comminare la sanzione, il Tribunale ha affermato che non ci può essere cumulo di sanzioni perché è il medesimo comportamento viola una norma generale ed una speciale. In sostanza, il divieto di intrattenere rapporti illegittimi con i tifosi non sarebbe che una delle specificazioni del divieto di comportamenti sleali. L’obbligo di lealtà in questo caso è stato quindi ritenuto essere un obbligo di comportamento generale poi specificato nei successivi obblighi previsti nelle norme della Giustizia FIGC.  

ALTRI CASI - In altri casi infine evocare l’obbligo di lealtà (e quindi il divieto di comportamenti sleali) è servito a giustificare una rigidità maggiore dell’ordinamento sportivo nel sanzionare comportamenti che la giustizia ordinaria non sanziona, come gli inadempimenti ad obblighi tributari più rigidi rispetto a quelli ordinari o che di fronte al fisco sarebbero comunque giustificabili. È il caso di chi si fidandosi delle dichiarazioni dei propri esperti contabili ha certificato erroneamente la regolarità nello svolgimento degli adempimenti fiscali della società o di chi dichiara agibile lo stadio senza produrre il nulla osta del sindaco. Si tratta fatti che nell’ordinamento generale non verrebbero puniti perché giustificabili in termini di caso fortuito, forza maggiore o comunque legittimo affidamento, ma che, al contrario, vengono sanzionati dal giudice sportivo in considerazione del fatto che “l’Ordinamento federale si fonda su propri principi e regole, espressione della c.d. libertà associativa, con la conseguenza che esso ben può dotarsi di norme difformi e anche più restrittive di quelle dell’ordinamento statale, funzionali al perseguimento degli scopi statutari”. L’obbligo di lealtà viene così applicato come giustificazione del rigore e della specificità del diritto sportivo o (come altre volte) è avvenuto per i ritardi nei depositi di documentazione prevista dalla normativa federale, e quindi, in generale per il mancato rispetto delle norme dell’ordinamento sportivo. Un dovere di lealtà che va ben oltre i meri obblighi di normale diligenza nell’adempimento delle obbligazioni previste dal diritto ordinario. Il fair play, la lealtà come passepartout del diritto sportivo!  

Lealtà e fair play come stile di vita ma anche come obbligo di comportamento, obbligo che deve caratterizzare tutti i rapporti di chi vive lo sport! Perché chi vive nel mondo dello sport deve essere retto e corretto sempre! E se non lo è, deve pagare, perché lo sport torni ad essere un modello di vita.