Di Francesco Paolo Traisci. È di nuovo bagarre su San Siro. E sulla ristrutturazione dello stadio, fortemente voluta da Inter, Milan e dal Comune di Milano
È di nuovo bagarre su San Siro. E sulla ristrutturazione dello stadio, fortemente voluta da Inter, Milan e dal Comune di Milano. Ancora una volta si manifestano tutte le ombre di una normativa, quella urbanistica, che da un lato cerca di incentivare l’edilizia sportiva, per tutti i motivi ben noti, ma dall’altro appare ancorata ai vecchi schemi di vincoli, lacci e lacciuoli che impediscono o rendono estremamente difficoltosa ogni iniziativa. Da tempo si parla di rimodernare gli impianti sportivi, coinvolgendo i club, in un contesto paese fatto di strutture vecchie e fatiscenti e di impianti comunali non più idonei ad ospitare in sicurezza i tifosi ed a fornire il giusto spettacolo. E, sicuramente lo stadio di Milano, non sfugge a tali esigenze.
Vincolo sì, vincolo no
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E così, ormai da qualche anno, le due squadre milanesi, hanno promosso un’iniziativa per un nuovo stadio, arrivando alla decisione di demolire la struttura esistente e di ricostruirne una nuova sullo stesso sito. Ma qui si sono scontrate con la nostra burocrazia. Come tutti gli edifici monumentali, anche quelli abbandonati o fatiscenti, S. Siro potrebbe essere oggetto di vincoli urbanistici vari, messi dai nostri molteplici enti territoriali. Coinvolgendo nella loro iniziativa il Comune di Milano, proprietario dell’immobile, il primo possibile vincolo è stato smontato. E così, il 13 maggio 2020 la commissione regionale per il patrimonio culturale ha deciso che San Siro «non presenta interesse culturale ai sensi degli articoli 10, 12 e 13 del Codice» e come tale «è escluso dalle disposizioni di tutela». Questo perché si tratta «le persistenze dello stadio originario del ’25-’26 e dell’ampliamento del ’37-’39 risultano del tutto residuali rispetto ai successivi interventi», «non risalenti a oltre 70 anni». Quindi, tutto sommato la parte più antica sarebbe marginale e non rilevante ai fini di possibili vincoli. È vero che i 70 anni scadranno l’anno prossimo, e quindi nel 2024, scatterebbe in automatico il «vincolo monumentale» riferito alla posa del secondo anello nel 1954. Ma il segretariato regionale aveva già deciso che «le stratificazioni, gli adeguamenti, gli ampliamenti fanno dello stadio un’opera connotata dagli interventi del ’53-’55, oltre a quelli del 1989-90, nonché delle opere successive al Duemila, ovvero un’architettura soggetta a continua trasformazione in base alle esigenze legate alla pubblica fruizione e sicurezza». Tutto ok? Semaforo verde per il nuovo impianto? Niente affatto. Mancherebbe la soprintendenza, ossia il Ministero dei Beni culturali. E qui sono arrivati i problemi. Il sottosegretario, Vittorio Sgarbi, ha annunciato la sua volontà di mettercelo questo benedetto vincolo, “un vincolo di tutela storico relazionale in base all’articolo 10”, impedendo così ogni indiscriminato abbattimento. “Ho deciso di proporre un referendum – ha quindi spiegato il sottosegretario - perché siano i cittadini di Milano a decidere se abbattere o meno San Siro”, ha concluso Sgarbi.
Lo scontro sulle deleghe per i vincoli
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E si è scatenato l’inferno, perché a difesa del progetto è intervenuto il Presidente del Senato, Ignazio La Russa, affermando che Sgarbi non avrebbe alcun potere decisionale, spettando questo al Ministro dei Beni Culturali, Gennaro Sangiuliano, con il quale il Presidente avrebbe già parlato. E nel colloquio, il ministro avrebbe smentito qualsiasi volontà del Governo di porre il vincolo. “Ho parlato personalmente con il Ministro per capire la situazione. Mi ha confermato che non ha ceduto la deleghe e che non intende porre alcun vincolo su San Siro. Vuole restare neutrale, perché vuole che a decidere sia, come è giusto, il Comune di Milano. Quello che dico io a Palazzo Marino è di non nascondersi dietro un dito, magari aspettando le elezioni. Se c’è da prendere una decisione la devono prendere loro e la devono prendere in fretta”. Ha dichiarato ed ha aggiunto: “Sgarbi non ha questa delega né credo abbia mai vantato di averla. Se lo avesse fatto avrebbe sbagliato. Per carità, tutti possono esprimere la propria opinione e pur essendo molto amico di Vittorio debbo dire con chiarezza che non ha alcuna voce in capitolo sullo stadio”. Secondo La Russa, la decisione spetterebbe quindi al Comune (il quale in realtà si è già espresso, per l’assenza di vincolo). Ma è nato uno scontro politico, con la risposta di Sgarbi, che ha affermato di avere le necessarie deleghe per farlo in autonomia. Certo però che la faccenda necessita un chiarimento, anche urgente, all’interno del Governo e della maggioranza, essendosi creata una situazione di stallo, per ora non vede alcuna presa di posizione pubblica dei due club, che tuttavia, non sarebbero del tutti immobili.
Andare avanti o cambiare luogo?
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Appare necessario quindi un chiarimento urgente! L’indicazione se il vincolo sarà o meno messo deve ritenersi essenziale perché l’attuale progetto presentato dai due club si basa proprio sull’assenza di un simile vincolo, assenza che quindi consentirebbe una completa demolizione e la riedificazione di una nuova struttura sullo stesso sito. Le società milanesi infatti restano convinte che la questione vincolo sia destinata a sgonfiarsi da sola. Ma se così non fosse, il progetto del nuovo San Siro dovrebbe cambiare radicalmente, gettando alle ortiche quello attuale. Fra le soluzioni, indicate dallo stesso La Russa, la costruzione del nuovo stadio in un sito diverso (evidentemente in un area da individuare), ricominciando quindi da zero oppure costruire il nuovo impianto nella stessa area di S. Siro, accanto a quello attuale, che quindi verrebbe lasciato in abbandono. Questa, secondo il senatore, sarebbe la soluzione migliore, evitando a Milano un enorme danno ambientale causato dalla demolizione. Certo è il fatto che se ci fosse bisogno di ricominciare da capo tutto con un nuovo progetto, tutto quanto fatto sino ad ora sarebbe stato una gran perdita di tempo e di denaro: avendolo saputo a suo tempo, ossia quando nel 2020 è stata dichiarata la mancanza di volontà di porre un vincolo, il progetto avrebbe avuto caratteristiche differenti ed i due club si sarebbero orientati verso un’area differente (qualcuno, a suo tempo, aveva suggerito Sesto San Giovanni)… Ed allora, in tale denegata ipotesi, le due società potrebbero anche avviare un’azione legale per impugnare il vincolo ritenuto illegittimo con, eventualmente, una richiesta danni nei confronti del Ministero (da cui dipendono Segretariato e commissione). Azione, che, a mio avviso, sarebbe tutt’altro che infondata!