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Vialli si racconta, tra la paura e il futuro: “Ho promesso ai miei genitori che non sarei morto prima di loro…”

Gianluca Vialli ha lottato e ha vinto la partita più complicata. L'ex attaccante azzurro racconta di come i suoi genitori gli abbiano dato la forza di andare avanti nel momento più duro, ma anche di come si sia reso conto di quanto è importante...

Redazione Il Posticipo

Gianluca Vialli ha lottato e ha vinto la partita più complicata. L'ex attaccante azzurro, attualmente capodelegazione della nazionale di Mancini, ha tenuto testa al cancro e, coronavirus permettendo, guarda al suo futuro nel mondo del calcio. In un'intervista al DailyMail, il bomber di Cremonese, Samp, Juventus e Chelsea racconta di come i suoi genitori gli abbiano dato la forza di andare avanti nel momento più duro, ma anche di come si sia reso conto di quanto è importante poter abbracciare qualcuno...

GENITORI - "La malattia è stata difficile. Ma la famiglia è stata fondamentale. In tutti i sensi. "Mio padre ha 90 anni e mia madre 85. Mi considero molto fortunato di avere ancora entrambi. Ma ora che anche io sono genitore, so che non può esserci un dolore più grande di perdere un figlio. Ed ho fatto una promessa, Non volevo che accadesse a loro. Ovviamente voglio vivere il più a lungo possibile, ma soprattutto non volevo far passare loro questo dolore. È stato un obiettivo che mi sono posto, sopravvivere ai miei genitori. È stata una cosa buona per loro e un obiettivo per me, qualcosa da raggiungere e che mi desse forza e desiderio di essere ancora più ottimista e di fare qualsiasi cosa pur di rimanere in vita". E anche un'esperienza così complicata ha avuto un lato positivo. "Una delle cose di cui questa storia mi ha fatto rendere conto è che devo essere più vicino ai miei genitori. Egoisticamente, la mia priorità sono i miei figli. Ma mi metto anche nei panni dei miei genitori. Sono un padre, un marito, ma anche un figlio, quindi devo fare del mio meglio per renderli felici. E prima di avere il cancro non mi sentivo così. È stata un'opportunità per me di rendermi conto anche di questo".

ABBRACCI - Ora è tempo di tornare al lavoro, accanto ai ragazzi della nazionale. Motivo in più per essere...arrabbiati col coronavirus. "Il calcio mi manca molto da quando c'è il coronavirus. Ne sei dipendente e all'improvviso te l'hanno portato vita. Una settimana o due va bene, perchè ti dà l'opportunità di ricaricarti. Ma ora è troppo. E quello che mi manca davvero è la possibilità di abbracciare le persone. Dopo 15 anni sono tornato a lavorare nel calcio e sono tornato su un bus allo stadio, con la musica a tutto volume e con la possibilità di guardare in faccia i giocatori e parlare con l'allenatore. E poi, prima di scendere in campo, li abbracci. Quando suona l'inno ti emozioni e quando finisce la partita li abbracci di nuovo. Era qualcosa che mi è mancato quando ero lontano dal campo e ora mi manca ancora di più. Ho potuto averne di nuovo un assaggio e adesso il virus me l'ha tolto di nuovo". Ma per fortuna, il Gianluca nazionale può guardare avanti. Ai prossimi abbracci.