"Finita la kermesse, onore ai vincitori e ai vinti, bravi tutti. E adesso possiamo provare a squadernare una lettura d’insieme di questo Mundial di Russia. È stato un Mondiale bello e – ci dicono le Autorità locali e quelle della FIFA – organizzato alla perfezione. È stato un mondiale senza incidenti, giocato da tutti con molto fair-play e senza brutte scene in campo (quelle di Neymar sono state divertenti, più che altro), con momenti divertenti (pensiamo alla danza dei senegalesi, o alle sceneggiate di Maradona) e in qualche caso emozionanti (l’eroismo di Tabarez). Alla fine, ha vinto la squadra più forte, solida, completa, continua; e questo va riconosciuto, pur dopo averli gufati dall’inizio alla fine – come da regolamento. Il podio rispecchia secondo me le qualità viste in campo: Francia, Croazia, Belgio.
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Una rilettura del Mondiale
Di Ignazio Castellucci. Finita la kermesse, onore ai vincitori e ai vinti, bravi tutti. E adesso possiamo provare a squadernare una lettura d’insieme di questo Mundial di Russia.
"PAPERE - Dal punto di vista tecnico, due considerazioni: anche al Mundial continuano a vedersi in numero relativamente alto le “papere” dei portieri, anche dei più bravi. Ma se un incidente diventa un dato statisticamente significativo, non è più un incidente; il gioco è cambiato, è più imprevedibile, gli attaccanti sono sempre più veloci nel movimento e sempre più forti nel tiro: il progresso nella preparazione atletica e mentale dei portieri evidentemente non ha lo stesso passo. Forse non è proprio possibile che lo abbia, per la diversità delle azioni richieste agli uni e agli altri; e per la velocità delle sinapsi umane, che impedisce di avere il controllo dei propri atti al di sotto di certi tempi di reazione.
"PIEDI - In parte, è l’esigenza per i portieri di giocare la palla con i piedi a determinare a volte il patatrac: lo abbiamo visto in Argentina-Croazia, e di nuovo ieri sera nella finale. Questa esigenza o mania o vezzo – stigmatizzato da Ubaldo Fillol, portiere dell’Argentina Mundial del 1978 in un’intervista all’indomani della sconfitta argentina con la Croazia – nasce però sia dal mutato modo di giocare che dalle mutate regole, che spingono il sistema verso il gioco veloce e spettacolare, con sempre meno tempi morti. In questo contesto, vedremo sempre più spesso delle “papere” eccellenti – che, del resto, fanno spettacolo – almeno fino a quando non si troverà il modo di formare portieri-marziani, con forme di preparazione tecnica, atletica e neurologica che li rendano dotati di resistenza allo stress e di riflessi sovrumani.
"VAR - Altra considerazione: la VAR ha funzionato egregiamente, dando risposte esatte in momenti decisivi, contribuendo alla giustizia dei risultati e quindi anche ad abbassare le tensioni in campo e fuori, a tutto vantaggio del fair-play e dello spettacolo sportivo. Il successo della VAR ha segnalato al mondo l’esistenza di un’eccellenza italiana nella funzione arbitrale in tutte le sue dimensioni (almeno questo…).
"ASSE SPOSTATO - È stato un mondiale che ha dimostrato come molto sia cambiato, rispetto a quelli che erano ormai diventati luoghi comuni del XX secolo: l’asse geopolitico del calcio non è più tra l’Europa occidentale e il Sudamerica. L’America Latina ha le sue tradizioni, ma non ha le risorse necessarie a produrre un calcio all’altezza di quello del Vecchio continente: servono ormai capitali giganteschi, gestioni manageriali, capacità di trovare, riunire e coordinare in una squadra molti giocatori di livello mondiale; e il talento dei ragazzini nei cortili di periferia delle megalopoli latinoamericane da solo non basta più. La vicenda di Leo Messi è esemplare in questo senso: stellare al Barcellona, poco incisivo quando veste la casacca Albiceleste.
"I NUOVI ARRIVATI - Nazionali forti e giocatori talentuosi ormai arrivano anche dall’Africa e dall’Asia, mentre è ormai solo il calcio europeo ad attrarre, organizzare, valorizzare i talenti di tutto il mondo. Capitali russi, cinesi e di altre parti del mondo ci offriranno prima o poi uno spettacolo comparabile, visto che i talenti abbondano ormai dovunque. Quei Paesi devono ancora acquisire la capacità di gestione sportiva (i tecnici delle migliori squadre asiatiche, ad esempio, vengono ancora quasi tutti da Europa o Sudamerica), mediatica e manageriale dei club europei; ma è solo questione di tempo prima che ciò accada.
"L'EUROPA - Sei delle otto squadre passate agli ottavi erano europee; due delle quali appartenenti all’Europa orientale – che attuano un modello sportivo diverso da quello del’Europa occidentale, poco multietnico, basato su capitali certo inferiori ma su una forte componente di orgoglio nazionale. E quattro su quattro sono state le Europee nelle semifinali, con la tostissima Croazia giunta a un passo dal cucirsi la stella sulla maglia.
"MBAPPÈ E MODRIC - Alla caduta degli Dèi, Messi e Ronaldo, fa riscontro l’emergere di talenti dell’Est e del Sud del mondo, che ormai hanno accesso alle organizzazioni calcistiche migliori che permettono loro di crescere: Mbappé e Modric candidati al Pallone d’Oro – il primo come potenziale nuovo Pelé, il secondo come giocatore di livello globale ormai navigato – ne sono evidentemente gli esempi migliori; ma ne abbiamo visti molti altri. Soprattutto, abbiamo visto come le individualità stellari da sole non bastino, senza la presenza non solo di una squadra, ma proprio di un apparato molto esteso, professionale ed efficiente, di cui il tecnico e i ventidue in campo non sono che la punta di diamante.
"DECLINO SUDAMERICANO - Guardando le statistiche, nelle ultime edizioni del Mondiale è evidente il declino dell’America Latina, il cui predominio sulla scena calcistica mondiale è finito sostanzialmente nei primi anni ’90 – diciamo dopo il mondiale vinto dal Brasile nel ’94 – con l’avvio della globalizzazione economica e con la rivoluzione tecnologica che hanno reso il calcio un fenomeno, appunto, gobale. Da allora, c’è stato solo il Mundial vinto dal Brasile nel 2002, e le sconfitte nelle finali del 1998 (Brasile) e 2014 (Argentina), con ben tre finali tutte europee (2006, 2010, 2018). Le squadre che vincono l’Europeo hanno sempre un ruolo di primo piano anche nei mondiali, mentre non è così con la Copa América; e anche la Coppa Intercontinentale/Coppa del Mondo per club ha visto la prevalenza netta negli ultimi venti anni della squadra campione d’Europa: se prendiamo lo stesso anno-spartiacque del 1994 (quando vinse il Vélez Sarsfield), nei ventiquattro anni successivi ci sono state solo sei vittorie di squadre sudamericane.
"FIGURACCE - L’identità stessa del calcio è in buona parte latinoamericana, così come i suoi riti e simboli (a partire dalla parola Mundial) e questo durerà ancora parecchio; ma la realtà odierna ha superato quello che pare ormai un paradigma appartenente al secolo scorso. Il calcio sudamericano di oggi è spesso associato alle figuracce delle sue nazionali maggiori: gli ammutinamenti dello spogliatoio argentino, la disgregazione del suo ambiente calcistico e l’ingovernabilità sua federazione; gli show di Maradona (egli stesso un’icona del calcio del secolo scorso, che ancora ha presa mediatica proprio perché si collega a quel periodo aureo del calcio argentino); le delusioni brasiliane negli ultimi due mondiali. Mentre le nazionali emergenti di quel Continente (Cile, Colombia) in occasione dei mondiali comunque non raggiungono il livello sportivo e mediatico globale delle “grandi” latinoamericane in declino.
"EST EUROPA - Anche in Europa la geografia calcistica è un po’ cambiata: tutte le “grandi” tranne la Francia sono state eliminate relativamente presto, alcune sconfitte da sorprendenti squadre emergenti; i bravissimi belgi hanno ormai preso, già da qualche anno, il posto dell’Olanda nell’immaginario calcistico, come piccolo paese del nord-Europa che esprime un calcio dinamico e divertente. La Russia ha giocato benissimo le sue carte, venendo sconfitta solo ai quarti, e ai rigori, dalla finalista Croazia; Polonia e Serbia non hanno sfigurato, pur venendo eliminate nella fase a giorni. E molti hanno improvvidamente commentato su come sarebbe forte oggi una squadra nazionale jugoslava, con i campioni di Serbia e Croazia: un commento banale e tutto sommato sbagliato, fatto senza conoscere la storia di quei Paesi.
"IDENTITÁ - In realtà la forza di Croazia e Serbia è (anche) nell’elemento identitario: è anche, proprio, quella di rappresentare oggi le rispettive nazioni, mentre la ex-Jugoslavia non ne rappresentava alcuna – come è dimostrato dalla storia della sua sanguinosa dissoluzione. Le squadre dell’Europa orientale hanno una forza che viene molto, insomma, dall’altro elemento, oltre a quelli della tecnica della capacità manageriale e finanziaria: il cuore, la fame e la voglia di vincere con una maglia, amplificati dall’identità e dall’orgoglio nazionale. I campioni latinoamericani, tanto per tornare al discorso di prima, hanno conservato la tecnica, ma non hanno il secondo elemento; ed hanno ormai da tempo perduto il terzo. Il calcio è solo un gioco… sarà. Volendo, è una lente attraverso cui osservare il mondo. Molti dicono che il calcio sia una metafora della vita. A volte, forse, è la vita stessa ad essere una metafora del calcio.
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