La sua vita più di altre è stata segnata da un paio di porte scorrevoli. Forse avrebbe continuato a fare il falegname se non avesse impressionato Giovanni Trapattoni nella primavera del '92 in un'amichevole tra Caratese e Juventus. E oggi probabilmente allenerebbe, se nel 2010 non fosse scomparsa sua moglie Barbara. Ma dei 'se' e dei 'ma', uno come lui non se ne fa niente. Oggi Moreno Torricelli ha 49 anni e vive in Valle d'Aosta nel comune di Lillianes tra cinquecento anime e parecchie montagne. Le stesse che ha sempre amato e che non ha mai avuto paura di scalare nella vita. Nel 1995-96 ha raccolto i frutti seminati per una ventina d'anni lungo la corsia di destra: così Moreno da Erba è diventato campione d'Europa e del mondo. Vent'anni dopo però non ha smesso di correre, anzi continua... ad "Allenarsi per il Futuro"! Torricelli è uno dei promotori del progetto contro la disoccupazione giovanile. Obiettivo: orientare i giovani in vista del futuro offrendo loro opportunità di alternanza scuola-lavoro attraverso lo sport, fatto di passione, impegno, responsabilità e allenamento. Valori che hanno reso eterno l'ex falegname Torricelli, rimasto nella storia del calcio grazie al suo grande cuore.
interviste
Torricelli: “Juve-Ajax? Ho la foto di Roma sul telefono. Allegri mi ricorda Trap. Baggio, Del Piero e Zidane valgono CR7”
Un campione che si è fatto da solo con tanto sacrificio e un pizzico di buona sorte. Moreno Torricelli deve tutto a Giovanni Trapattoni, ma ringrazia anche Marcello Lippi. Uno scherzo del destino lo ha messo fuori dai giochi come tecnico, ma...

Moreno, le manca giocare a calcio e allenare?
Sì, mi manca perché è quello che ho fatto per tutta la mia vita. Dopo aver smesso di giocare, avevo l'intenzione di allenare: l'ho fatto per tre anni in Lega Pro. Poi sarei potuto andare in Serie B al Crotone, ma ho dovuto smettere per la scomparsa di mia moglie. In quel momento ho deciso di seguire da vicino i miei figli. Sono stato fermo per quattro o cinque anni, il treno per allenare è passato e non ho più avuto la possibilità di tornare a farlo. Mi dispiace perché il calcio è sempre stato la mia vita. Guardo al futuro con fiducia.
Come è la sua vita a Lillianes in Valle d'Aosta?
Io sono sempre stato un amante della tranquillità, mi è sempre piaciuta tanto la montagna e viverci è fantastico. Mi sono trasferito in Valle d'Aosta perché la mia attuale compagna vive a Lillianes: l'ho fatto molto volentieri. Adesso sto collaborando con Bosch e Randstad per il progetto "Allenarsi per il futuro": io e altri atleti andiamo a parlare ai ragazzi delle scuole con l'obiettivo di promuovere l'alternanza scuola-lavoro. È molto motivante avere a che fare coi giovani che saranno il nostro futuro.
Lei ha avuto un'esperienza come allenatore delle giovanili del Pont-Donnas in Valle d'Aosta...
Ho collaborato con la squadra del paese per assecondare la mia passione per il calcio e soprattutto per stare a contatto coi ragazzi. Purtroppo sono realtà molto piccole: stiamo parlando di una regione di centomila abitanti, i numeri sono veramente bassi e si fa molta fatica a portare qualità.
Quale è la differenza tra il suo calcio e quello di oggi?
A livello di calcio giocato, penso che non ci siano differenze. È cambiato il mondo che ruota attorno a questo sport: i social hanno portato un modo diverso di approcciarsi alla vita. Nel calcio però non si inventa niente. È sempre bello perché è fatto di uomini, di passione e di calore: questo continua a esserci. È cambiato solo il mondo attorno e bisogna stare al passo coi tempi di oggi.

Lei prima di fare il calciatore faceva il falegname: che cosa si è portato con sé di questa esperienza?
È un mestiere molto bello: l'odore della segatura per chi fa questo lavoro è tanta roba. Io ho sempre preferito i lavori manuali: mi piace sempre capire perché qualcosa è stato fatto in un certo modo anziché in un altro. Questa cosa me la porto dentro ancora adesso: mi piace capire il perché delle cose. Nel calcio mi sono portato dietro soprattutto l'educazione della mia famiglia. I miei genitori mi hanno insegnato l'importanza del lavoro: niente ti piove addosso, ma se tu credi in qualcosa e fai di tutto per ottenerlo in qualche modo influenzi il tuo destino.
Che cosa ha significato Giovanni Trapattoni per lei?
Per me è stato tutto. L'ho sempre detto: non so quanti allenatori avrebbero rischiato la propria faccia per lanciare un ragazzo alla Juventus. Sicuramente il club non aveva bisogno di un Torricelli sconosciuto. Il Trap ha osato: in me ha intravisto l'atteggiamento giusto, di uno che ci poteva stare in quella squadra e ha avuto tantissimo coraggio a lanciarlo. È stato l'uomo che mi ha cambiato la vita e mi ha aiutato a realizzare un sogno. Quando ho saputo che la Juventus avrebbe puntato su altri giocatori e non più su di me, nell'estate del '98, ho scelto di andare alla Fiorentina: lì c'era il Trap. L'ho seguito in segno di riconoscenza per tutto quello che aveva fatto nei miei confronti qualche anno prima.

Come è stato l'impatto con la Juve? Il primo ritiro? È stato un salto improvviso...
Non sapevo che cosa aspettarmi. Tutti dicevano che il mondo del calcio era fatto da calciatori viziati, che guadagnavano tanti soldi, con belle macchine, circondati da belle donne... Fortunatamente le dinamiche dello spogliatoio tra Juventus e Caratese sono le stesse: c'è sempre un gruppo di ragazzi, che si divertono facendo un gioco stupendo e dedicando la vita alla loro passione. Le dinamiche sono le stesse, con le dovute proporzioni chiaramente.
Come è stato il passaggio da Giovanni Trapattoni a Marcello Lippi?
È stato una rivoluzione. Alla fine della stagione 1993-94 è cambiato veramente tutto: dal titolo di presidente onorario, che dall'avvocato Giovanni Agnelli passava al dottor Umberto Agnelli, fino ai dirigenti. C'è stata una svolta generale che ha portato in panchina Lippi: è stato un cambio eccezionale per tutti noi perché con quella Juve siamo diventati, nel giro di poco tempo, un punto di riferimento a livello europeo. Allora il calcio italiano era il più bello al mondo e tutti i giocatori più forti erano qui: in quegli anni vincere in Italia significava essere un modello.

Nella stagione 1995-96 avete vinto la Champions con l'Ajax: siete andati oltre le vostre possibilità?
Sicuramente sì, perché all'inizio nessuno pensava che ci saremmo riusciti. Volevamo puntare in alto ed eravamo consapevoli della nostra forza: ci piaceva confrontarci con tutte le grandi squadre. Piano piano, vincendo tante partite importanti, è aumentata la consapevolezza di potercela fare. È stata una crescita continua: l'autostima è aumentata e abbiamo ottenuto grandi risultati. Sulla cover del mio iPhone c'è la prima pagina della Gazzetta dello Sport dedicata alla vittoria con l'Ajax: è stato un regalo dei miei figli. Arrivare a quei livelli è davvero tanta roba.
C'era un Cristiano Ronaldo nella vostra squadra?
Ce ne erano tanti: Del Piero nell'anno della Champions, poi abbiamo avuto Baggio e Zidane. Avevamo i migliori giocatori di quei tempi, ma c'erano anche tanti campioni che, a modo loro, erano dei Ronaldo: non dal punto di vista tecnico, ma per la personalità e l'atteggiamento all'interno del gruppo. Per eccellere c'è bisogno di tutti: serve un Chiellini che non fa passare nessuno, serve un Ronaldo che ti fa i tre gol quando servono, serve la personalità di un Bernardeschi. Una squadra è composta da tanti Cristiano Ronaldo. Chiaramente il fuoriclasse è il fuoriclasse, ma dietro di lui ci devono essere tanti campioni.

Che cosa ha imparato dalle finali perse in Champions con Borussia Dortmund e Real Madrid?
Nelson Mandela diceva: "O si vince o si impara". Le finali perse sono state dure da digerire: sono traguardi molto ambiziosi e quando non riesci a raggiungere l'obiettivo la delusione è tanta. Però te le tieni strette perché ti hanno insegnato che in quella partita non sei stato all'altezza oppure hai trovato qualcuno che è stato più bravo di te. Ci rimugini un po' sopra e pensi che, in determinate situazioni, non sei riuscito a dare il massimo.
Lei di terzini se ne intende: che cosa pensa di Spinazzola? Si è rivisto un po' in lui in Champions?
Spinazzola è arrivato alla Juve dopo aver fatto grandi cose all'Atalanta. È un ragazzo con tanta personalità. È stato sfortunato a subire l'infortunio al crociato che lo ha tenuto fuori per tanto tempo. Ma quando si è presentata l'occasione giusta con l'Atletico, si è fatto trovare pronto e ha dimostrato tutte le sue qualità in una partita decisiva per la stagione. Quando fai una prestazione del genere significa che hai lavorato tanto, a prescindere dal fatto di giocare o meno. Spinazzola ha dimostrato di essere un professionista. Speriamo che possa crescere ancora anche in ottica Nazionale. Una prestazione simile ha fatto crescere la sua consapevolezza e autostima.

26 Nov 1996: Moreno Torricelli of Juventus celebrates with the Toyota cup after his teams win over River Plate by 1-0.
Le sembra che questa Juventus sia più consapevole della sua forza? Ora sa come uccidere le partite?
Alla Juve non manca niente in tutti i sensi. Ha acquistato il numero uno al mondo, CR7, e questo chiaramente ha fatto crescere tutto l'ambiente, squadra compresa. Mi sembra una Juve pronta a giocarsi tutte le proprie carte fino in fondo, come ha dimostrato con l'Atletico. Chiaramente più si va avanti e più si devono limitare prestazioni simili a quella di Madrid, perché adesso non hai più tempo di sbagliare.
Lei ha avuto Trapattoni e Lippi alla Juve: a chi assomiglia di più Allegri?
Per quanto riguarda la gestione del gruppo, Allegri mi sembra più vicino a Trapattoni. Me lo ricorda anche nella comunicazione: è molto attento ai singoli giocatori, è uno che parla spesso con ciascuno di loro. È un grandissimo allenatore. I risultati che ha ottenuto al quinto anno alla Juve non sono in discussione: cinque campionati di fatto, quattro Coppe Italia e due finali di Champions. Non si può sempre giocare bene perché in campo ci sono anche gli avversari. Trovo ingiuste le critiche nei suoi confronti. Non dimentichiamo come è stato accolto dai tifosi quando è arrivato: fare bene dopo i risultati ottenuti da Conte non era facile. Fin dal primo giorno Allegri ha dimostrato di essere una persona intelligente e ha risposto sul campo coi risultati.

Come valuta il percorso di Allegri con la Juve in Europa finora ?
In Champions non è ancora riuscito a vincere, ma non è facile farlo. Spesso ti ritrovi a giocare partite stradelicate. La sua Juve ha perso due finali: una col Real Madrid e l'altra col Barcellona, due grandissime squadre che negli ultimi dieci anni hanno dettato legge in Europa. Perdere ci può stare. Non è mai semplice arrivare fino in fondo: è andato più vicino a vincere la Champions quando ha sfidato il Barcellona, rispetto alla volta in cui ha affrontato il Real. Tutti pensavano che a Cardiff la Juve potesse fare qualcosa di più, ma in Europa vincere non è semplice.
Da quest'anno lei rappresenta la Juventus in Europa: orgoglioso per questo tributo?
Il primissimo Juventus Club fondato in Spagna a Saragozza è stato intitolato a me e ne vado molto orgoglioso. Allo stesso tempo però sono rimasto un po' sorpreso: vederne uno nella terra spagnola, dove Real e Barça la fanno da padrone, è un motivo di orgoglio anche per la società. Sono molto contento per questo tributo: significa che ho fatto qualcosa di buono anche io. Spero che porti bene: la finale sarà a Madrid, ma sia Real che Atletico sono state eliminate, il Barça però è molto pericoloso. E poi c'è la Juve che ha tante carte da giocarsi.
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