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Calaiò oggi gioca a calcio a 8: “Che sfide con Totti! Un sogno giocare a Napoli. Conte è un vincente”

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Un pallone per tre in famiglia, la bellezza di scendere di categoria per risalire con il cuore, una stagione dura e bella che ne ha portate con sé tante altre. Oggi Emanuele Calaiò ha 40 anni e gioca ancora con gli amici di sempre

Simone Lo Giudice

Totti Soccer Weese, cuore Napoli, martello Conte

Salire e scendere per sfondare. Lo ha fatto sempre: lungo d'Italia da ragazzo, in campo da uomo. Emanuele Calaiò lo fa ancora oggi al fianco di Francesco Totti: questa volta non è mercato, è calcio a 8 per la quarta stagione. I trofei per cui lottare non mancano: Serie A a 22 squadre, Coppa Italia, Coppa di Lega, Supercoppa regionale e Supercoppa Italiana. I buoni amici nemmeno: da Aldair e Alberto Aquilani fino a David Pizarro. Per loro Calaiò scatta e allarga il gioco come un tempo perché aspettare lì fermo in area di rigore non gli è mai piaciuto. Così è stato quando da ragazzo ha lasciato la sua Palermo per andare al Torino, così è successo nel 2005 quando ha scelto il Napoli in Serie C senza se e senza ma. Nel 2008 poi la sua strada e quella di Antonio Conte si sono incrociate e insieme sono stati benissimo. Quell'anno al Siena è stato benedetto per entrambi: per il mister che si è riguadagnato la sua Juve, per Emanuele che è tornato giovane. Ne beneficia ancora da quarantenne in forma e col sorriso.

Emanuele, ci racconta questa sua nuova esperienza al fianco di Francesco Totti?

Il calcio a 8 è uno sport molto bello, una via di mezzo tra il calcio e il calcetto. Lo scorso anno sono stato tesserato dalla squadra di Francesco, ci ho giocato insieme nelle pause di lavoro. L'iscrizione era aperta a tutte l'età. È stato un torneo molto competitivo.  Il calcio a 8 ha già assunto valenza in dieci regioni, va completato il percorso su scala nazionale. Vogliamo rendere questa disciplina omogenea su tutta la penisola. Il patrocinio della Lega Nazionale Dilettanti può essere la chiave per raggiungere questo obiettivo.

Lei gioca a calcio a 8 con altri ex Serie A: bello ritrovarvi tutti insieme?

Ruotando un po' si sono visti tanti ex calciatori amici di Totti e vicini anche a me: da Vincent Candela a Mirko Vucinic e David Pizarro, poi Antonio Floro Flores, Fabrizio Romondini e Massimo Bonanni. È stato un bel torneo con una visibilità importante.

Differenze con il calcio a 11?

Si fatica un po' di meno perché le dimensioni del campo sono diverse. Nel calcio a 8 però ti devi muovere parecchio, in questo senso si avvicina al calcetto, mentre a 11 ognuno ha il suo ruolo. Bisogna seguire l'uomo. Ci sono moduli, 3-3-1 oppure 2-3-2, però mancano compiti fissi. Ci sono più scatti che allunghi, serve tanta reattività. Cambia anche il minutaggio: facciamo due tempi da 25 minuti ciascuno con un piccolo intervallo.

Così però potete continuare a giocare...

Calcio a 8, calcetto e padel aiutano a restare in forma. Io faccio di tutto, mi ritaglio sempre un'oretta al giorno per muovermi. Una volta vado a correre, un'altra gioco a padel, una sera faccio calcetto. Al lunedì magari vengo da Francesco. Lo sport mi aiuta a stare bene. Alcuni ex calciatori hanno il rigetto nei confronti del calcio dopo il ritiro e preferiscono fermarsi, soprattutto se hanno lasciato da mezzi acciaccati. Io voglio bene al mio corpo e alla mia salute, per questo motivo continuo a giocare.

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Com'è nata la sua passione per il pallone?

Ho cominciato per divertirmi. Madre natura mi aveva dato grosse potenzialità, così la passione è diventata sempre più forte. Ho fatto tanti sacrifici. Quando io avevo 17 anni c'era solo il calcio. Andavo a scuola, dopo pranzo facevo i compiti e poi andavo a giocare in mezzo alla strada. Oggi tra social e Playstation, locali e ragazzine ci si sacrifica di meno. Io mi ero posto l'obiettivo di diventare calciatore e ce l'ho fatta. Il supporto dei miei genitori è stato fondamentale. A 13 anni sono andato via di casa, mi sono trasferito a Torino per fare le giovanili. Per i primi anni sono stato in convitto, quando ho firmato il pre contratto per giocare in Primavera ho preso casa da solo. Sono cresciuto in fretta con le spalle larghe: questo mi ha aiutato nel corso della mia carriera.

C'erano altri sportivi nella sua famiglia?

Sia mio padre che mio fratello hanno giocato a calcio: il primo in Serie C negli Anni '70, il secondo in B come portiere nell'Atletico Catania. Siamo stati sempre una famiglia di sportivi.

Domani si gioca Napoli-Torino: che cosa hanno rappresentato entrambe per lei?

Torino è stata la città della mia infanzia, dove mi hanno insegnato le basi. Il settore giovanile granata era ottimo. A Napoli invece mi sono consacrato. Nel 2005 ho scelto la Lega Pro rifiutando squadre di categorie superiori. Era una piazza storica, essere lì per me significa stare in A, la Lega Pro era una cosa di passaggio. Mi sono posto l'obiettivo di arrivare nella massima serie nel giro di due o tre anni e l'ho centrato. Sono cresciuto tanto a livello caratteriale. Dopo che hai giocato a Napoli puoi giocare ovunque: c'è tanta pressione, ci sono molti giornali e tante trasmissioni sportive. La tifoseria focosa e passionale da un lato ti spinge, dall'altro non ti aspetta. Se non fai gol la gente storce il naso. È la città dove sono cresciuti i miei figli: un'altra ragione che mi lega a lei.

Il Napoli di oggi è grande grazie a voi? Senza quella cavalcata dalla C alla A non sarebbe qui...

Penso di sì, il risultato di quell'impresa è sotto gli occhi di tutti. Il Napoli è capolista in Serie A e sta facendo bene in Champions League. Avevamo fame. Non dimentico quando calpestavamo i campi di Acireale, Gela e Manfredonia. Agli inizi c'erano problemi per avere l'abbigliamento sportivo. Quando siamo arrivati in A nel 2007 è cominciato tutto. Poi sono arrivati buoni giocatori come Callejón e Mertens, Pepe Reina e Higuain. E ottimi allenatori come Mazzarri e Benitez.

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Che cosa ha portato Luciano Spalletti?

La sua esperienza. Il mister ha lavorato in piazze importanti a Roma e Inter. Il presidente Aurelio De Laurentiis ha preso la scelta giusta puntando su di lui. Serviva un allenatore navigato perché allenare a Napoli non è semplice. Lo scorso anno la società si era posta l'obiettivo di tornare in Champions ed è stato raggiunto. Peccato per lo scudetto, si poteva fare qualcosa in più. Spalletti ha portato freschezza, idee e gioco. Lo spogliatoio è molto unito, ognuno sa quello che deve fare, c'è armonia. La scorsa estate il club ha rifondato la rosa con i giovani. Ha ceduto calciatori importanti che erano al Napoli da tanti anni, serviva un cambiamento. Chi è arrivato sta facendo la differenza.

Può essere l'anno buono per lo scudetto?

C'è una rosa importante e ci sono buone alternative ai titolari. Il Napoli si è rinforzato e lotterà per lo scudetto, per vincerlo però bisognerà battere le altre corazzate. Non mi voglio illudere e non voglio illudere nessuno perché la squadra è sempre partita benissimo, purtroppo ha perso spesso terreno nel girone di ritorno. Sono certo che ci divertiremo con il Napoli quest'anno.

Non si aspettava una vittoria così larga contro il Liverpool in Champions?

Ha fatto un primo tempo eccezionale, i Reds sono rimasti sorpresi. Fisicamente e atleticamente il Napoli stava benissimo, correva il doppio. Mi è piaciuto tantissimo, però hanno pesato tanto anche i demeriti del Liverpool. Non era la solita squadra, mancavano giocatori importanti, tanti top player sono andati via. Il Napoli ha dominato con il suo gioco e con personalità senza avere paura.

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A proposito di allenatori che fanno la differenza: com'è stato avere Antonio Conte al Siena?

È stato uno dei migliori che ho avuto nella mia carriera. È bravo tatticamente ed è un grande motivatore. Conte ha personalità. Se deve dire qualcosa lo dice: che si tratti di un giocatore o del direttore sportivo o del presidente, magari per questioni di mercato, per lui non fa differenza. Non si siede in panchina se non vengono esaudite le sue richieste. Quando va in campo, appena calpesti l'erba, finisce tutto. Non si ride più, c'è grande concentrazione. Antonio pensa solo agli allenamenti e agli obiettivi. È un vincente. È uomo scuola Juve e porta con sé il DNA di chi non è mai disposto ad arrendersi. Non conosce pareggio e sconfitta. Se strappa un buon pari fuori casa su un campo difficile non è contento. Quando torna a casa si mette a rimuginare. Ha chiamato sua figlia Vittoria per un motivo ben preciso.

Com'erano gli allenamenti con Conte?

I primi 3-4 mesi erano durissimi, quasi arrivavi al vomito durante gli allenamenti. Alcuni miei compagni al Siena erano collassati. Bisogna adattarsi a Conte, da gennaio in poi voli, nemmeno ti pesano i lavori atletici. Bisogna solo abituarsi ai suoi ritmi. È tutta una questione di adattamento. Il ritiro estivo nell'anno della Serie B con lui è stato traumatico, poi però mi sono divertito tantissimo. Giocavamo col 4-2-4, le due punte si conoscevano a memoria con veli e contro veli, gli esterni volavano. Giocavamo un calcio clamoroso a livello offensivo. Vederci era un piacere.

Lei era l'attaccante perfetto per i suoi schemi...

Sì. Il mister vuole attaccanti molto mobili, che giochino tra di loro. Vuole che uno venga incontro e che uno vada in profondità. Mi mi trovavo a meraviglia in coppia con Ciccio Caputo, che aveva già giocato con Conte al Bari. C'erano  Brienza, Mastronunzio e Reginaldo: tutti attaccanti perfetti per quel gioco. Negli ultimi 25 minuti, Conte cambiava spesso un attaccante e un esterno per fare entrare gente più fresca che dava problemi. Cambiava centrocampisti e difensori solo quando era costretto.

Stare ai suoi ordini per un anno le ha allungato la carriera?

Sì. Quando sono arrivato al Siena ero nel pieno della maturità, avevo 27-28 anni, quel lavoro fisico mi ha fatto prolungare il mio percorso per qualche anno. Me lo sentivo addosso, avevo più fiato di prima. Conte ha portato nuovi metodi di allenamento che si sono imposti in tutti i ritiri. Oggi non si fanno più i 1000-2000 metri alla Zdeněk Zeman. Si lavora con il pallone in distanze di 200-300 metri al massimo. Lavorare con Conte per un anno mi ha permesso di abituarmi ai lavori fisici che ho incontrato dopo.

Nel 2016 lei ha accettato la sfida Parma in C come aveva fatto con il Napoli anni prima?

E con lo stesso entusiasmo! Sono sceso di categoria per riportare il Parma in A come avevo fatto col Napoli. Mi volevano squadre di B, ma ho preferito andare in C. C'era un progetto serio con un grande mercato. Parma e Siena sono state le mie seconde case.

C'è un Calaiò nel calcio di oggi?

Io ero mobile e bravo di testa. Mi piaceva legare il gioco e allargarlo sugli esterni. Per caratteristiche mi rivedo molto in Lautaro Martínez, che viene spesso incontro e che sa giocare spalle alla porta. È reattivo e ha una coordinazione strepitosa al volo, sa fare acrobazie. È bravo di testa nonostante la sua altezza. Non mi dispiace nemmeno Olivier Giroud, ma passa tanto tempo in area di rigore. Lo trovo poco mobile. Anche tecnicamente non è forte come lo è stato Gonzalo Higuaín nel nostro campionato.