Una Valle in cui nessuno si tira indietro, in campo e fuori. Montagne che avvolgono e proteggono, ma fanno anche pensare quanto scalarle un giorno possa cambiare la vita. Poi raggiungere la vetta e fissare l’orizzonte per capire che cosa c'è oltre quello che fino a quel momento è stato tutto. Per molti figli della Valle d'Aosta è andata così. Sergio Pellissier è uno di loro e gli è bastato prendere sul serio un gioco per cambiare la sua vita. Torino è stata la destinazione naturale. A Varese e Ferrara ha seminato, a Verona ha raccolto i frutti e anche gli applausi. Il Chievo è stato la sua Valle d'Aosta del calcio: una realtà piccola fatta di grandi sogni, dove lavoro e sudore sono tutto perché niente va dato per scontato. Dopo quasi vent'anni da calciatore e una stagione da dirigente, Pellissier si lascia il passato alle spalle ma non il pallone. È pronto a scalare una nuova montagna. In vetta lo aspetta la sua nuova vita.
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Pellissier: “Addio al Chievo dopo vent’anni. Vi racconto il feeling con Pioli e quella tripletta alla Juve”
Il coraggio di lasciarsi tutto alle spalle se necessario. Così è stato prima che il sogno diventasse realtà, così è adesso che una nuova vita comincia per davvero. Oggi Sergio Pellissier ha 42 anni ed è pronto a rimettersi in gioco

Sergio, si è chiusa da poco la sua prima esperienza da dirigente: come sta?
Dispiace chiudere un rapporto con una società con cui ho vissuto così tanti anni, ma fa parte della vita. È stata presa una scelta. L'importante è ripartire nel migliore dei modi. In questo momento mi sto guardando intorno. Sto valutando quale sia la cosa migliore per me.
È difficile ripartire dopo il Chievo?
È difficile lasciare qualcosa di vecchio per qualcosa di nuovo. Prima sapevi a cosa andavi incontro, sapevi come gestire certe situazioni. Ripartire è sempre complicato. Col Chievo sono cresciuto anche mentalmente. Ho passato tante cose belle e brutte. Adesso voglio dimostrare che conosco il calcio. Ci sono tanti direttori sportivi e tanti ex giocatori che lavorano in questo mondo e forse per me potrebbe non arrivare mai una nuova occasione. Se fossi rimasto al Chievo non avrei nemmeno potuto provare.
È deluso per come è finita con la società?
Il mondo del lavoro è fatto così. Chi gestisce fa le sue scelte ed è giusto così. Avrei preferito che scegliessero me anziché qualcun altro, ma contano l'esperienza e tantissime altre cose. Forse non ero nemmeno pronto, ma fa parte del gioco. Si riparte da capo. Come ho fatto in tutta la mia carriera adesso devo dimostrare di valere qualcosa. Bisogna farlo vedere sul campo, non solo a parole.
Come mai non ha scelto di fare l'allenatore?
Io sono un uomo vecchio stampo. I miei allenatori si imponevano, pretendevano il rispetto di regole ferree. Negli ultimi anni sono cambiati a seconda di chi avevano di fronte. Io sono fermo sulle mie idee. Se qualcuno dovesse comportarsi come non vorrei lo escluderei. Oggi contano di più i giovani degli allenatori. Poi fare il mister non è semplice. Quando sei calciatore non lo capisci e ce l'hai sempre col mister. Prendere decisioni, confrontarsi costantemente con 30 ragazzi e fare sempre la scelta giusta non è facile. Bisogna avere talento. Io non credo di essere portato per fare l'allenatore. Nella vita però non si sa come andrà a finire.
Oggi è cambiata l'importanza della gavetta?
Non c'è più gavetta. Un ragazzo che arriva dalla Primavera si ritiene già pronto per giocare in prima squadra. Purtroppo è cambiato tutto per scelte societarie prese per ragioni economiche. Oggi non puoi più fare la gavetta accanto a gente di esperienza. In C o in Lega Pro, vecchi che ti possano insegnare come giocare non ce ne sono. Nessuno vuole i giocatori di esperienza perché non portano introiti. Se un ragazzo va in Lega Pro trova gli stessi calciatori con cui ha giocato in Primavera.

Lei aveva un mito da ragazzo?
Mi piaceva Roberto Baggio perché era un campione discreto. Poi è uno che ha fatto qualcosina nella sua carriera.
Come è nato Pellissier calciatore? Come si è avvicinato al calcio?
Io sono nato e cresciuto in Valle d'Aosta, dove il calcio non è la cosa più importante. In famiglia solo mio zio giocava. Mi sono buttato su uno sport che mi piaceva. Fin da piccolo avevo sempre un pallone tra le mani, ero sempre al campetto. Poi avevo qualità. La mia determinazione nel voler giocare a tutti i costi è stata decisiva. Un giorno quelli del settore giovanile del Torino mi hanno visto e mi hanno voluto fortemente. Così è cominciata la mia carriera. Era la città più vicina. Fossi rimasto ad Aosta non avrei avuto la possibilità di diventare quello che sono diventato. Eri obbligato ad andare via se volevi ottenere qualcosa.
Dopo il Torino lei ha giocato nel Varese e nella Spal: che cosa hanno rappresentato per lei?
Varese è stata la mia prima vera avventura: lì ho firmato il mio primo vero contratto. A Varese ero da solo, avevo la mia prima macchina e mi dovevo autogestire. La società credeva in me. Ho avuto dei problemi il primo anno, poi ho scelto di rimanere e il secondo ho fatto benissimo. Anche i tifosi mi hanno dato tanto. A Ferrara con la Spal sono esploso. In quel periodo stavo bene fisicamente, ero giovane e determinato. Avevo piena fiducia da parte della società e sono cresciuto come uomo. Ho conosciuto mia moglie. Così ho trovato la mia famiglia.
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