"Mancava solo un capitolo, solo un’istantanea, perché il dolore per la morte di Davide Astori potesse dirsi perfetto. Quando arriva, il dolore, spiazza, paralizza, confonde: ognuno con la sua quota, ognuno con la sua reazione, la sua sensibilità. Ma è solo nella sua elaborazione che quel dolore, da vicenda privata, dei pochi, si è propagato fino a diventare cosa di tutti. Da una camera d’albergo di Udine fino agli stadi dell’Italia intera, accesi come tante lampadine di un unico circuito elettrico, come uno sguardo che partendo dal buco di una serratura abbraccia oggi un orizzonte molto più vasto.
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La cognizione del dolore
Da una camera d’albergo ai muri dello stadio Franchi, da Firenze fino ad arrivare al resto d’Italia. Come e perché il dolore per la scomparsa di Davide Astori sia diventato qualcosa che riguarda tutti.
L'umanità del dolore e della tragedia
"Già, l’elettricità. Pare sia stata quella la causa del decesso del capitano della Fiorentina: il cuore che rallenta, ripiega lentamente per poi spegnersi. Nessun sentore, nessuna avvisaglia, e per questo ancor più difficile da accettare. Però – e qui torniamo al dolore, sempre lui, alla sua cognizione – c’è qualcosa di profondamente umano, che solo gli uomini hanno quando devono provare a dare risposte a qualcosa di trascendentale e molto più grande di loro, nell’elaborazione di questo lutto. Un qualcosa che non scopriamo oggi ma che da sempre ci appartiene e di cui conserviamo ancora, nel fondo, una vibrazione.
"Era così anche nell’antica Grecia, quando si andava a teatro ad assistere alle tragedie. Testi e vicende come meccanismi ad orologeria, in cui le passioni più violente – rabbia, odio, tradimenti, morte, - venivano rappresentate per una giornata intera, dall’alba al tramonto, stravolgendo (letteralmente) gli spettatori che sgomenti e in lacrime assistevano a quella messa in scena che ricordava loro chi fossero, quanto fragili e delicate le loro esistenze, quanto piccolo e segnato da regole precise il recinto entro cui condurre le proprie vite. Una catarsi collettiva, il teatro come coscienza civile e il silenzio ad accompagnare il ritorno a casa e la convinzione che quanto visto riguardasse anche te.
Lo stadio come il teatro, tempio del tifo
"Ed è questo il capitolo che mancava. Là dove ieri sorgevano i teatri oggi troviamo gli stadi, i templi della religione laica del tifo in cui l’“io” è ancora capace di farsi “noi”. Ed è significativo come il silenzio che ha avvolto il Franchi all’ora di pranzo sia stato identico a quello ascoltato sulle tribune dei tanti stadi in cui si è giocato in questo weekend. Identiche le lacrime e lo sgomento degli astanti, gli sguardi al cielo, le madri che baciavano i loro figli.
"Non resta adesso che capire se la lezione sia stata compresa, se la catarsi possa dirsi finalmente completa. E per scoprirlo non dovremo far altro che aspettare i prossimi novanta minuti, quando inevitabilmente la nostra squadra – e noi con lei – diventerà oggetto del giudizio altrui e vedere come quel giudizio verrà accettato. Se prevarrà ancora una volta la rabbia scomposta di chi crede che in quel tassello di mondo sia racchiuso tutto il senso del nostro stare insieme, o se verrà finalmente compreso che quella parentesi ludica altro non è che un tassello di un disegno ben più grande, dove basta il tempo di una notte per perdersi per sempre, e in cui il filo che ci tiene ancora tutti agganciati a questa vita è molto più sottile di quello che ci tiene uniti sotto i colori di una bandiera.
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