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Dario Silva: “Lavoro in una pizzeria a Malaga. Non ho permesso a Sergio Ramos di frequentarmi. Sogno il Giro e la Vuelta”

Simone Lo Giudice

Segue ancora il Cagliari?

Sempre, il Cagliari mi manca. All'inizio della stagione è andato abbastanza bene, un mese fa è arrivato Walter Zenga in panchina e sono curioso di vedere come andranno le cose quando si ricomincerà a giocare. Abbiamo una bella squadra, ci sono giocatori molto interessanti.

Ha un ricordo del presidente Cellino?

Il terzo anno in cui c'ero io siamo saliti in Serie A e non mi ha pagato il premio promozione. Non mi ha mai dato quei soldi perché me ne ero andato via dal Cagliari dopo tre stagioni. Ho detto la verità come ho sempre fatto nella mia vita. Non me ne frega niente dei soldi. Con Cellino siamo sempre stati molto vicini, anche se ci tengo a dire come è andata: le cose vanno dette prima di morire, così almeno puoi andartene senza rimpianti.

Quale allenatore le è rimasto nel cuore?

Trapattoni è stato il tecnico più importante che ho avuto nella mia carriera: mi ha insegnato il calcio e mi ha spiegato che cosa avrei dovuto fare per diventare un campione. Ho cercato di seguire sempre i suoi consigli. Sono grato al Trap perché grazie a lui sono diventato un grande giocatore in Spagna: noi due parlavamo tanto insieme e ciò che ci siamo detti mi è rimasto nel cuore.

Lei ha giocato al Cagliari col suo connazionale Fabian O'Neill: che cosa ricorda di lui?

Un giorno Trapattoni mi ha chiesto che tipo di calciatore fosse: gli avevo detto di portarlo subito al Cagliari, io lo avevo visto coi miei occhi in Uruguay, O'Neill era tra i migliori al mondo. Oggi è tornato nel suo paesino: ogni tanto ci vediamo, siamo rimasti amici. Ci sentiamo poco, ma Fabian sa che gli voglio tanto bene. Quando siamo stati insieme si è sempre comportato da vero uomo. Oggi è contento della sua vita e questa cosa mi fa molto piacere.

Vorrebbe tornare a Cagliari un giorno?

Sì, mi piacerebbe vedere la squadra dal vivo soprattutto se si dovesse qualificare alle coppe europee. Sarei in prima fila insieme a tutti i sardi, mi farei l'abbonamento per seguire tutte le partite.

Come sono i sardi?

Come una famiglia: gente semplice e amabile. Ti danno il cuore e tu devi fare altrettanto. Non ricordo quante volte sono andato a cena a casa dei tifosi: dovevo passare da tutti per mangiare insieme. Mi sono comportato sempre bene con loro. Volevo fare come Gigi Riva: restare al Cagliari per tutta la mia vita e non lasciare mai la Sardegna. Le cose purtroppo sono andate diversamente.

Dopo il Cagliari lei è andato all'Espanyol e ha giocato con Eto'o e Pochettino: che cosa ricorda?

Era una squadra molto sudamericana: c'era il paraguaiano Miguel Benitez, poi gli argentini Martin Posse, Mauricio Pochettino e l'allenatore Miguel Brindisi. Quando sono arrivato io la squadra lottava per il diciottesimo posto che valeva la salvezza: per quel motivo avevo preso la maglia numero diciotto. A fine stagione siamo arrivati a due punti dalla zona Uefa, abbiamo fatto un girone di ritorno pazzesco. Eto'o era giovane, siamo stati insieme solo 6 mesi però si vedeva che era già un grandissimo giocatore, umile e ambizioso. Eto'o voleva diventare il migliore e noi lo prendevamo in giro per questa cosa. Samuel non pensava ad altro e alla fine ha ottenuto dalla vita ciò che desiderava.

Poi lei è andato al Malaga dove è rimasto per molte stagioni e dove vive oggi...

Al primo anno ho fatto grandi cose con Catanha che aveva segnato 24 gol e era arrivato secondo nella classifica marcatori: per questo motivo era stato convocato dalla Spagna. Poi a Malaga ho conosciuto uno dei migliori giocatori incontrati nella mia carriera: Dely Valdes, ex Cagliari ed ex Psg. Parlavamo in italiano: la gente non capiva, noi ci intendevamo benissimo. Eravamo grandi amici, abbiamo fatto ciò che volevamo.

Lei ha giocato per due anni con Sergio Ramos al Siviglia...

In quella squadra c'erano Julio Baptista, Dani Alves e Reyes: erano giovani, ma già ottimi calciatori. Poi c'eravamo noi, gente di esperienza: abbiamo portato tutti sulla strada giusta. Nell'anno in cui sono arrivato c'è stato il salto di qualità. Mi ha fatto piacere aver giocato in una squadra così importante. Io ero più vecchio di Sergio Ramos, ma pensavo che sarebbe diventato un grande. Ogni volta che andavo a giocare con la mia Nazionale lui mi chiedeva di raccontargli tutto: che cosa significasse giocare con l'Uruguay, che cosa pensava la gente, che tipo di atmosfera c'era contro il Brasile o l'Argentina. Gli raccontavo tutto in macchina: parlavamo sempre di calcio quando andavamo ad allenarci.

Guidava lei? Sergio Ramos era suo vicino di casa?

Eravamo vicini, lui era giovane e non poteva guidare. Io gli ripetevo sempre di pensare a fare ciò che dovevamo fare: concluso l'allenamento andavamo a casa a riposare perché ne avevamo bisogno. Per lui era importante dormire 6-7 ore a notte.

Alla sera uscivate?

Andavamo fuori a cena, ma quando volevo andare a bere qualcosa lo riportavo a casa. Quando capivo che non mi stava più osservando, tornavo indietro con la macchina e andavo in giro da solo. Pensavo che lui non dovesse fare quello che facevo io perché il mio corpo era abituato a riposare poco. Mi sentivo già sveglio al mattino quando dormivo poche ore. Ramos mi ha ascoltato, ha capito quello che gli dicevo.

Che cosa ricorda di Dani Alves?

All'epoca era già un giocatore micidiale, era sempre contento come tutti i sudamericani: come Ronaldinho e Roberto Carlos. Noi siamo felici, ci piace tanto giocare. Gli europei lavorano per il calcio, noi abbiamo la fantasia. Dani Alves era com'è adesso, gli è sempre piaciuto dire le cose in faccia: alcune persone interpretano questa cosa a modo loro perché non lo conoscono. Insieme a lui mi sono sempre divertito tanto.

Le manca l'Uruguay? Il coronavirus lo ha colpito duramente?

Ogni tanto torno a Treinta y Tres: vado a trovare la mia famiglia per 3-4 mesi all'anno. I miei genitori non ci sono più, sono rimasti i miei figli: loro stanno bene, in città non ci sono stati casi. Mi sembra che l'Uruguay ne abbia avuti 500 in totale e che siano morte 5-6 persone.

Ha ancora un sogno nel mondo dello sport?

Voglia fare qualcosa nel ciclismo, un altro sport che mi piace tanto. Marco Pantani è stato il più grande di tutti secondo me: mi ha regalato la maglia rosa e una bandana. Io sono arrivato in Italia nel 1995, lui era già un grandissimo ciclista dal 1994. Ho conosciuto Claudio Chiappucci in Sardegna dove mi sono avvicinato a questo sport. Ho conosciuto un grande campione come Mikel Landa durante la Vuelta di Andalusia. Mi piacerebbe fondare una squadra, tanti amici vorrebbero costruire qualcosa insieme a me. I ciclisti mi sfidano sempre quando parliamo.

Sogna una tappa del Giro a Cagliari?

Sì, insieme al sardo Fabio Aru, un grandissimo ciclista. Il ciclismo è come il calcio: si vince con la tattica, bisogna capire quando è il momento giusto per attuare una strategia. Gli allenatori mi spiegano che dipende tutto dal tipo di tappa, ma prevedere che cosa fare non è così facile.