Come è nata la sua passione per il calcio?
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Bucchi ‘studia’ da Allegri: “Vi racconto il mio calcio situazionale. Scamacca? Lo vedo bene con Ibra al Milan”

Io sono nato a Roma: ci ho vissuto per sei anni perché il mio papà lavorava lì. C'era la Roma di Falcao, il mio idolo. Ero riccio, un po' biondone e da piccolissimo tutti mi chiamavano Falcao. Mio zio tifosissimo dei giallorossi mi portava allo stadio. Sono cresciuto all'Olimpico ed ero sempre al campetto. Poi mi sono trasferito nelle Marche e ho iniziato a giocare con la squadra del quartiere. A nove anni mi ha chiamato la Sambenedettese fallita quando ne avevo 16-17. Ci siamo ritrovati a giocare nella Juniores regionale.
Che scelta ha preso allora?
C'è stato un momento in cui ho pensato di prendere un'altra strada. Mi sono iscritto all'Università di Macerata alla facoltà di Scienze Politiche: sognavo di diventare giornalista. Mi chiamò il Settempeda, la squadra di San Severino Marche che si trovava a 20 minuti da Macerata: era in Promozione, pagava bene e aveva giocatori importanti. Ho accettato e quella stagione è stata meravigliosa: ho segnato 26 reti e abbiamo vinto il campionato, ho dato anche due esami all'Università. L'anno dopo in Eccellenza sono esploso con 29 gol, poi è arrivata l'offerta del Perugia di Ermanno Pieroni. Quell'anno il club era in B. Poi vinse lo spareggio a Reggio Emilia contro il Torino: così passai direttamente dall'Eccellenza alla Serie A.
Lei ha segnato il suo primo gol in A contro una squadra romana: un segno del destino?
Ho fatto gol all'esordio assoluto dopo tre minuti a Marchegiani che giocava nella Lazio, una squadra romana, e che era marchigiano come me. Quel giorno il cerchio della vita si è chiuso in un certo senso.
Che ricordo ha di Gaucci?
Mi ha insegnato a cercare di vincere sempre. Con il tempo ho imparato a convivere anche con la sconfitta, ma la mia idea iniziale è di provare a vincere sempre. Noi eravamo il Perugia, una provinciale al cospetto delle grandi, nonostante questo il presidente non accettava la sconfitta. Se vincevi arrivava il premio, se perdevi arrivava la punizione e andavi in ritiro. Io venivo dai sacrifici del calcio dilettantistico ed ero abituato a lottare. Nella vita vince chi ha più motivazioni. Ben venga tutto il mondo Gaucci.

Lei ha lavorato anche con Pioli: le fa piacere vederlo così in alto oggi?
Stefano è una persona meravigliosa. Da quando è al Milan non l'ho chiamato: sono uno di quelli che si mettono in disparte quando un amico sta lavorando. Sono andato a vedere i suoi allenamenti a Firenze. Di Pioli mi ha colpito sempre la sua grandissima umanità. Quando un calciatore sa che c'è una persona per bene in panchina, dà qualcosa in più. Era giovane, ha studiato tanto e si è perfezionato nel tempo.
Anche Pioli è un allenatore 'situazionale'?
Sì, lo stimo perché non va in un club per imporre la sua idea a discapito di tutto. Cerca di capire che cosa ha disposizione, adegua le sue idee al materiale che c'è: questo è sinonimo di una intelligenza pazzesca.
Napoli è rimasta una tappa un po' agrodolce nella sua carriera da calciatore?
No, è stata dolce. In me c'era il desiderio di arrivare a Napoli e segnare 30 gol, gli stessi che avevo fatto nel Modena, e regalare la Serie A. Sapevo che la società dopo la promozione avrebbe fatto scelte diverse. Ho trovato un ostacolo che conoscevo: mister Reja. A Vicenza avevamo vinto il campionato, a Cagliari era successa la stessa cosa. Entrambe le volte c'erano state difficoltà nel rapporto. Avevo 29 anni, venivo da due campionati col Modena in cui avevo segnato 19 e 29 gol, quindi volevo una maglia da titolare.
La voleva anche il Benfica?
Sì, a gennaio: il mio passaggio in Portogallo non si è concretizzato per un discorso economico. Il Benfica voleva pagare un milione al Modena che ne incassò quattro e mezzo dal Napoli. Ho fatto tre gol in tre partite di Coppa Italia, una doppietta alla prima giornata, alla terza ho segnato, alla quarta sono andato in panchina e lì è iniziato il mio calvario. Fino a gennaio ho fatto 8 gol, nei mesi successivi ho giocato tre spezzoni di partita. C'è rammarico. Non ho avuto la possibilità di dimostrare tutto il mio valore.
Uno che l'ha lanciata invece è stato Di Francesco...
Con Eusebio c'è un rapporto bellissimo. A volte scherzando gli dico che quando l’ho incontrato avevo già smesso, ma non me ne ero accorto. Quando sono andato a Pescara la testa mi dava segnali importanti, in sostanza non ne avevo più. Ho fatto un gol indispensabile per la salvezza. Ho conosciuto Eusebio, è una grande persona. Mi ha trasmesso la voglia di fare questo mestiere, mi ha avvicinato a tutto questo.
Ha un sogno Cristian?
Riuscire a fare con passione quello che ho sempre fatto. Mi piacerebbe arrivare a grandissimi livelli portando il mio atteggiamento di sempre. Più che un sogno lo vedo come un obiettivo. Credo che il calcio possa rendere tutto possibile. Voglio credere che anche in Champions League prevalgano l'attaccamento e la passione. In Serie A ho trovato giocatori pronti a tutto. Le categorie esistono per questo motivo.
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