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Ariaudo story: “Pronto per una nuova sfida. Alla Juve manca mezza squadra, il mio Allegri era un trascinatore”

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Storia di un grande amore e dei modi per coltivarlo mutati con le stagioni della vita: un tempo in campo, oggi sugli spalti. Lorenzo Ariaudo ha 33 anni ed è tornato nella sua Torino dove si allena con un obiettivo: meritarsi una nuova avventura

Simone Lo Giudice

Casa Juve, l'anno di Ferrara e Zac, l'Allegri di Cagliari

Precollina di Torino, dove la città inizia a sfumare e il punto di osservazione sulle cose si fa sempre più privilegiato man mano che si sale. Lorenzo Ariuado è tornato qui da uomo, nel posto dove è iniziato tutto quando era solo un ragazzino che sognava di indossare la maglia bianconera. Per la sua Juventus ha dato tutto: si è messo in difesa in campo e prova a farlo anche oggi, in queste settimane in cui cadute rumorose e pensieri negativi hanno fatto venire qualche ruga in più sul volto della Vecchia Signora. Era già successo nei primi anni di Ariaudo in prima squadra: anche allora soffiava un vento di ricostruzione, ma diverso da quello di oggi. Al fianco di Giorgio Chiellini è cresciuto, sotto gli occhi di Massimiliano Allegri è diventato un giocatore importante. Lorenzo ricorda la freschezza di Max a Cagliari: allora era quella la sua arma più affilata. Un giorno Ariaudo si è separato da entrambi per cominciare un viaggio che non è ancora finito. A 33 anni aspetta di giocare la partita più bella: quella che deve ancora arrivare.

Lorenzo, come sta?

Mi sto allenando con il Chieri, una squadra di Serie D in provincia di Torino. Dopo l'ultima esperienza all'Alessandria in B mi tengo pronto. Sono motivato per cominciare una nuova avventura. Stare fuori non è facile, ma lo accetto. Sono tornato a Torino dopo tante stagioni fuori. È la mia città natale.

Vorrebbe giocare ancora in B?

Sì, però valuterò tutte le chiamate che arriveranno, come ho fatto la scorsa estate. Ho ricevuto proposte interessanti da Spal e Venezia, però non si sono concretizzate.

Com'è cominciata la sua storia d'amore con il calcio?

È iniziato tutto quando ero piccolino. Giocavo nella C.B.S. Scuola Calcio, una società dilettantistica di Torino. Un giorno sono venuti a vedermi gli osservatori della Juve e mi hanno portato da loro. Ho reso felice la mia famiglia di tifosi bianconeri. Pure mio fratello faceva il calciatore a livello dilettantistico. Mio padre praticava altri sport: gli piaceva il motocross e andare a sciare.

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(Photo by New Press/Getty Images)

Lei ha fatto le giovanili alla Juventus: che cosa le ha insegnato?

Tutti gli allenatori ci dicevano che dovevamo crescere prima come uomini e poi come atleti. Era lo slogan che girava nel settore giovanile. Ho imparato quali sono le basi nella vita: come devo comportarmi con le persone, ad essere umile, ho appreso tutti i valori migliori che ci possano essere.

Villar Perosa è uno dei luoghi in cui il sentimento bianconero si rinnova ogni estate: come lo ha vissuto?

È un posto unico dove si respira il profumo della tradizione. Lì si rinnova il contatto tra la Juve e i suoi tifosi più calorosi. Ho approfittato di questo periodo per andare all'Allianz Stadium, ero sugli spalti per la sfida contro il Benfica in Champions League. Questa sconfitta e quella con il Psg hanno complicato il cammino ai gironi, ma penso che qualificarsi sia ancora possibile. La Juve deve solo ritrovare i suoi valori e le sue certezze in campo.

Ha visto uno stadio con qualche vuoto in più?

Il momento non è semplice, ma è importante che i tifosi sostengano lo stesso la squadra. So che è difficile, però ricordiamoci che la Juve ha sempre bisogno della sua gente. È sempre una cosa buona andare allo stadio e tifare nel bene e nel male. Noi calciatori sentiamo se il pubblico ci è vicino oppure no. I tifosi trascinano sempre.

I giocatori stanno avvertendo il malumore della piazza?

Chi gioca alla Juve deve saper gestire le tensioni. Sono certo che questo gruppo sia in grado di superare questo momento e tornare presto ad alti livelli.

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Ci sono somiglianze tra questo momento di difficoltà e quelli del passato?

Quando c'ero io, la Juve era risalita superando uno scoglio veramente grosso come la B. Il primo dei novi scudetti è arrivato nel 2012 cioè sei anni dopo la retrocessione. Non era facile da immaginare. Adesso la situazione è complicata per altre ragioni, ma dobbiamo ricordarci che la squadra è davvero dimezzata, ci sono tanti giocatori fuori.

Sono situazioni differenti quindi...

Sì, ma dovranno portare al raggiungimento di un risultato. Nel 2007 l'obiettivo fu tornare in Serie A, oggi la squadra deve tornare prima di tutto competitiva e a vincere.

C'erano più bianconeri doc nella sua Juve?

C'era gente che si era sacrificata per amore della maglia ed era scesa in B dopo aver vinto il Mondiale. Penso a Del Piero, Buffon e Camoranesi. Lo stesso Trezeguet che aveva giocato la finale del mondiale 2006. C'era anche Nedved ex Pallone d'Oro. Avevano rifiutato altre offerte perché amavano la Juve. C'erano valori importanti. Penso che non manchino nemmeno nella squadra di Allegri. Non la conosco bene, ma credo che sia così. Chi ti accoglie alla Juve ti fa capire che cosa significa essere bianconero.

Alla Juve manca Chiellini?

Sì. Giorgio ne è stato il simbolo per tanti anni, così è diventato una leggenda. Incarnava perfettamente lo spirito del club. Una persona così e con la sua esperienza manca dentro lo spogliatoio. Chiellini poteva dare una mano ai giovani e ai nuovi arrivati.

Pinsoglio è uno degli ultimi juventini doc rimasti in squadra?

Ha vissuto tanti anni a Torino e sa che cosa significa essere juventino. Ricopre un ruolo importante. Abbiamo vinto il Torneo di Viareggio e la Supercoppa Primavera contro l'Inter di Balotelli. Poi le nostre strade si sono divise, ma siamo rimasti in contatto.

Ci racconta un aneddoto legato ai suoi anni in bianconero?

I senatori mi hanno accolto in maniera esemplare nonostante avessi solo 18-19 anni. Mi trattavano come se fossi un giocatore già esperto. Mi hanno sentire subito parte del gruppo. Ricordo il giorno del mio esordio in Serie A contro la Lazio. Ero teso, così Tiago mi ha preso da parte e mi ha detto: "Sai qual è la differenza tra giocare stasera e giocare in Primavera? Nessuna! Gioca come sai. Non ti preoccupare, vedrai che andrà tutto bene". È una frase che porto ancora con me.

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Che tipo di calcio ha conosciuto dopo l'addio a Torino?

Le pressioni cambiano da una piazza e all'altra, ma ci sono. Alla Juve devi vincere, al Cagliari ti devi salvare. Devi essere bravo a gestire entrambe le situazioni.

Lei è stato allenato da Allegri al Cagliari: che allenatore era allora?

Max era un trascinatore. Nel 2009-10 eravamo già salvi a dieci giornate dalla fine. Avevamo fatto un capolavoro. Gestiva il gruppo alla grande. Ho ottimi ricordi del mister.

Eravate vincenti e belli da vedere?

Mi rifaccio al pensiero del mister quando sostiene che belli non è sinonimo di vincenti. Allegri è sempre stato un vincente, sa farlo giocando bene e giocando male. Ha portato la Juve in finale di Champions per due volte. Per me la cosa più importante è vincere, giocare bene passa in secondo piano. Il tifoso bianconero vuole titoli. La Juve oggi è in difficoltà, ma troverà il modo di tornare.

Secondo lei lo farà ancora con Allegri in panchina?

Al momento c'è Max, la società deve provare a mettere a posto la situazione con lui. Il mister ha scelto di tornare alla Juve dopo l'addio del 2019. Non so dirti se ha fatto bene oppure male. Ogni storia va da sé.

Nel 2010 Ferrara fu sostituito da Zaccheroni: fu l'ultimo cambio a stagione in corso...

Successe anche nel 2009 quando Ranieri fu rimpiazzato da Ferrara. Arrivammo secondi dietro all'Inter a fine anno. Il mister con noi aveva fatto molto bene anche nella stagione precedente, la prima dopo il ritorno in A. Mandarlo via fu errore.

Tornando al Cagliari: che cosa le ha lasciato la piazza? Quanto manca alla A?

Sono rimasto molto legato a tutte le squadre in cui ho giocato. Ricordo quando ho giocato col Cagliari all'Allianz contro la Juve nel gennaio 2012: le abbiamo strappato un bel pari 1-1 interrompendo la loro striscia di vittorie di fila. Una piazza come Cagliari manca tanto alla A. Deve fare un bel percorso in B. Non sarà semplice vincere perché ci giocano tante squadre blasonate quest'anno.

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In B gioca anche il suo Frosinone...

Sono molto legato ai colori gialloazzurri. Sono sceso in B per giocare con loro nel 2016-17, l'anno dopo abbiamo conquistato la promozione con il mister Longo. A Frosinone ho vissuto anni belli e intensi.

Lei cerca una nuova avventura da calciatore. In futuro però come si immagina?

Mi vedo meglio in un ruolo dirigenziale, magari come gestore di determinate situazioni. Quando smetterò di giocare frequenterò subito il corso da direttore sportivo. Penso di essere portato per ricoprire questo ruolo in società. Non mi immagino allenatore.

A proposito di mister: chi le ha insegnato di più nella sua carriera?

Allegri e Ranieri. Poi Gasperini, Giampaolo e Longo. Tutti mi hanno lasciato qualcosa. Chi mi impressiona di più è Gasp. Fa un calcio propositivo, si merita di stare dove sta con l'Atalanta. Sarebbe bello vedere la sua squadra campione d'Italia in un anno anomalo come questo. Sarebbe il giusto premio per il lavoro che fa ogni giorno, ma il campionato è lungo e può succedere di tutto.

Parlando di modelli in campo: a chi si ispirava da ragazzo?

A Chiellini e a Legrottaglie, i miei compagni di squadra. Sono quelli che mi hanno insegnato di più. Oggi ci sono pochi difensori italiani. Mi piace molto Bastoni mancino come me, poi metterei Acerbi e Di Lorenzo. Purtroppo ci sono troppi stranieri in A, così si spiegano i fallimenti della nostra Nazionale.

Qual è stata la partita più bella della sua carriera?

Sono molto legato a quelle dei miei esordi: il primo in Champions, il secondo in campionato. Quelle gare hanno dato il via alla mia storia da calciatore. Se guardo avanti però penso che la partita più bella debba ancora arrivare.