Lei ha giocato all'Inter: di quell'anno ricorda solo l'amicizia con Bobo Vieri?
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Mister Brocchi: “Io e il Milan delle Champions. Vi racconto il primo Locatelli, mi dispiace per Donnarumma…”
Forse è stato l'anno più difficile della mia carriera. Venti giorni dopo il mio arrivo, ho subito un grave infortunio e mi sono dovuto operare per due ernie al disco. Quando sono rientrato, la squadra era in grande difficoltà, c'erano tante polemiche. Ho sofferto: dopo cinque mesi sono rientrato, ho giocato per cinque-sei partite e mi sono stirato, sono tornato e dopo sette-otto gare mi è ricapitato. Di quell'anno ricordo l'amicizia con Bobo: è come un fratello. All'Inter ho stretto anche un bel legame con Di Biagio.
Lei ha giocato nel Milan di Ancelotti: com'era quel centrocampo?
Avevo davanti a me tre mostri sacri: Pirlo, Gattuso e Seedorf. Non ho mai dimenticato le frasi dette da Ancelotti sul mio conto. Il mister sapeva che quando mancava uno di loro, poteva contare su Brocchi. Sorrido quando sento dire che non ero un titolare. Ho giocato quarti e semifinale di Champions dal primo minuto. Purtroppo non sono riuscito a fare una presenza nelle finali: è l'unica cosa che mi manca. Penso di aver dato una mano a quel Milan. Sentivo la stima di Ancelotti e cercavo di ricambiarla sempre.
Lei ha festeggiato la Champions del 2003 indossando una maglia speciale: com'è nata quell'idea?
C'era la scritta "Brocchi si nasce, campioni si diventa". Il mio cognome è sempre stato motivo di battute. Appena sbagliavo una gara e qualcuno mi voleva ferire, gratuitamente usava il mio cognome. Ho scelto quella maglietta per sdrammatizzare. Quando mi fermano tante persone mi ricordano quella maglia.
Lei ha giocato quasi sempre col numero 32: che cosa c'è dietro questa scelta?
A Verona in Serie B avevo preso il 23 perché mi portava fortuna. Quando sono passato dall'Inter al Milan il 23 era sulle spalle di Ambrosini. Vieri aveva il 32 all'Inter: in onore della nostra amicizia ho mantenuto gli stessi numeri, ma invertiti e ho preso il 32. Da quel momento in poi non l'ho più cambiato, tranne per qualche mese alla Lazio. Quando sono arrivato il 32 era occupato. Al secondo anno Radu me lo ha ridato.
Che cosa è successo ad Istanbul?
Non è successo niente di quello che le malelingue hanno detto. Eravamo una grande squadra. C'erano giocatori top mondiali. Nessuno si era messo a festeggiare all'intervallo pensando che la gara fosse finita. A volte nel calcio capitano cose inspiegabili, forse era scritto che dovesse accadere quello che nessuno poteva immaginare. Questo sport ti dà e ti toglie. Dopo ci ha regalato la possibilità di prenderci la rivincita. Paradossalmente avremmo meritato di vincere di più ad Istanbul che ad Atene.
Quel Milan è stato una delle squadre più belle di sempre?
La forza di quella squadra era il gruppo. Quello che ho trovato al Milan non l'ho più rivisto da altre parti. Quando ci risentiamo dopo mesi o ci rivediamo dopo anni, è come se fossimo stati insieme la settimana prima. Tutti avevamo dei legami di amicizia più o meno stretti all'interno della squadra. Nonostante questo però andavamo tutti d'accordo e stavamo veramente bene insieme.
È quello che rivede nella Nazionale di Mancini?
Sì. I giocatori fanno la fortuna degli allenatori e li rendono più o meno bravi. Il mister deve trasmettere la sua mentalità e il suo stile di gioco. Quando hai un gruppo forte che rema tutto dalla stessa parte, che si aiuta, ride e scherza, i risultati arrivano. Succedeva al Milan ed è quello che è capitato al Monza in C.

Ha sentito Locatelli dopo il rigore sbagliato contro la Spagna?
Non ci siamo sentiti. Penso che sbagliare un rigore sia una cosa normalissima: è successo a giocatori top a livello mondiale. La cosa più semplice è non tirarlo. Quando ti assumi la responsabilità, devi essere consapevole delle conseguenze. Un errore non cambia il valore del giocatore. Averci provato è bello.
Che cosa ha intravisto in Locatelli prima di farlo esordire?
L'ho allenato negli Allievi e nella Primavera. Ho vissuto i suoi ultimi tre anni del percorso giovanile. Avevo visto un ragazzo di grandissime qualità. Ho cercato di trasmettergli la mia esperienza. Ho provato a fargli capire che cosa avrebbe dovuto fare per diventare un giocatore di spessore. Il suo segreto è la famiglia: umile, gli è sempre stata vicina, gli ha dato valori importanti. Lo ha aiutato a vivere i momenti belli e quelli brutti. Adesso finalmente ha trovato l'equilibrio giusto che gli serve per imporsi.
Quanto le dispiace vedere Donnarumma lontano dal Milan?
Tanto. Pensavo che potesse diventare il numero uno nella storia del Milan. Il percorso di questo ragazzo nel club è stato bellissimo. Sarebbe stato bello vederlo per sempre con la maglia rossonera. Purtroppo nel calcio moderno tante componenti possono influenzare o rovinare certe situazioni. Gigio non va né colpevolizzato né crocifisso per aver fatto una scelta diversa. Penso che faccia parte del nostro mondo.
Lei ha giocato con Simone Inzaghi alla Lazio: come lo vede interista?
Sono curioso: è la prima volta che va via da casa sua e che non lavora con Tare. All'inizio gli mancava esperienza: avere una grande società alle spalle e le persone giuste al suo fianco lo ha aiutato. Simone si merita quest'opportunità. L'Inter ha preso un mister che ha idee simili a quelle di Conte. I calciatori nerazzurri hanno caratteristiche che piacciono ad Inzaghi. Puntare su di lui è stata la scelta più logica.
Lei ha un sogno per il futuro? Vorrebbe allenare di nuovo in Serie A?
Cerco una società che voglia puntare su di me. Vorrei potermi giocare obiettivi importanti. Ogni squadra ha il suo: playoff o salvezza, Champions League o Europa League, qualcuno lo scudetto. Aspetto un club che voglia lavorare insieme a me con correttezza e che apprezzi il mio modo di vedere il calcio.
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