La vita dei calciatori è fatta di gioie, ma anche di dolori. Persino quella di chi dal pallone ha avuto tutto. Una Coppa del Mondo, due Europei, 32 trofei con il Barcellona tra cui nove campionati spagnoli e quattro Champions League. Tutti vorrebbero essere Andres Iniesta, ma a nessuno verrebbe mai in mente che anche lui stesso, in determinati momenti della sua vita, avrebbe preferito essere qualcun altro. Paradossalmente, proprio nel momento più importante della propria carriera. Nel periodo di tempo che intercorre tra la Champions 2009, vinta a Roma dal Barcellona contro il Manchester United, e il Mondiale 2010, Don Andres ha vinto un'altra partita importante. Quella contro la depressione.
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Iniesta, nel 2010 vittoria contro la depressione: “Mi sentivo vuoto dentro”
In un'intervista a Cuatro, Iniesta racconta il periodo più buio della sua carriera. Tra la Champions 2009 e il Mondiale 2010, Don Andres ha vinto un'altra partita importante. Quella contro la depressione.
UN ANNO TERRIBILE - Un anno circa davvero particolare per l'Illusionista, che si racconta in un'intervista al canale spagnolo Cuatro. Tutto inizia con la partita di Stamford Bridge, quella in cui Iniesta manda (tra le polemiche) il Barça in finale di Champions. All'epoca, la rete più importante della sua carriera. Poi però arriva un infortunio. Che non fa desistere lo spagnolo dalla voglia di giocarsi l'atto finale. "Avrei dato la vita per essere in campo in quella finale, l'ho giocata con un infortunio e ho pagato un prezzo molto alto". Iniesta salta la preparazione e le prime gare della stagione, ma arriva un colpo ancora più duro. La morte improvvisa, a Firenze, dell'amico Dani Jarque.
DEPRESSIONE - "È stata una serie di eventi che mi hanno fatto entrare in un pozzo senza fondo. Mi sentivo vuoto dentro". La diagnosi è allo stesso tempo semplice e terribile: depressione. Una battaglia che spaventa Iniesta, ma che il futuro Campione del Mondo affronta con l'aiuto di alcuni specialisti, che lo hanno accompagnato anche durante l'addio al Barcellona. "I miei due psichiatri e il mio psicologo mi hanno aiutato molto, così come le persone che mi sono sempre accanto. Devo molto a tutti quanti". Una fragilità inaspettata, che rende l'epilogo di quel'anno terribile ancora più dolce. La rete che vale un Mondiale, segno della fine di un momento buio e complicato e della rinascita del campione che si è appena trasferito in Giappone dopo una carriera di trionfi. E che ha saputo essere forte fuori dal campo, così come lo è stato all'interno del terreno di gioco.
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