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Gago e i suoi fratelli: se un infortunio e il dolore sono solo un fastidio

Il centrocampista argentino ha tentato di continuare a giocare contro il Perù nonostante un grave infortunio al ginocchio. La storia ci racconta di altri calciatori coraggiosi (e un po' incoscienti) che hanno sfidato il dolore.

Redazione Il Posticipo

Déjame jugar,lasciami giocare. Per quanto ci abbia provato, il dottore dell'Argentina non è riuscito a convincere Fernando Gago a lasciare il campo. Eppure dalla caduta del centrocampista era evidente che una fasciatura non sarebbe bastata, che quello era un infortunio al ginocchio, anche abbastanza grave. Ma all'ex Roma e Real importava poco, la partita con il Perù era troppo importante. E quindi ha deciso di rientrare, stringendo i denti nonostante il dolore. Poi la fisica ha avuto il sopravvento e il mediano del Boca si è arreso ed è stato sostituito, con la tristezza di abbandonare la sfida più difficile proprio all'interno del suo stadio. Ma se il ginocchio avesse retto ancora un po' (e quando si parla di crociato non è raro che accada), Gago avrebbe continuato. Perchè a volte l'adrenalina fa sì che il dolore diventi un semplice fastidio.

Julio Sergio, infortunio e lacrime

Julio Sergio è stato protagonista di un anno indimenticabile della storia recente della Roma, quello della grande rimonta all'Inter che rischiò di rovinare il triplete ai nerazzurri. Eppure l'immagine più indelebile della carriera in giallorosso del portiere brasiliano arriva da una partita persa, dal Rigamonti di Brescia. La Roma è sotto di una rete e ha finito i cambi quando l'estremo difensore si infortuna uscendo su un avversario lanciato a rete. Dolore alla gamba lancinante, infortunio alla caviglia che lo terrà fuori per più di un mese, ma Julio Sergio non abbandona la porta. Si fa fasciare e la difende, su una gamba sola, in lacrime,per sei minuti lunghi un'eternità. Termina la partita poggiato al palo, con le mani sul volto. I giallorossi perdono, ma da quel giorno Julio Sergio entra nel cuore di tutta la tifoseria. Il suo dolore è stato quello di ogni romanista.

Terry Butcher, il macellaio insanguinato

Nel 1989 Terry Butcherha tenuto fede al suo cognome (che significa macellaio) sfoggiando un look che ha certificato la sua leggendaria durezza in campo. Stavolta però il difensore di Sua Maestà si trova dall'altra parte della barricata, perchè è lui che si infortuna durante un match di qualificazione ai Mondiali. Nulla di grave, una collisione aerea con un avversario, che però gli causa un taglio alla testa. Così profondo che ci vogliono sette punti di sutura per chiuderlo. Ma Butcher non vuole abbandonare il campo, si fa suturare e fasciare e rientra come nulla fosse. Peccato che il taglio continui a sanguinare per tutto il resto della partita e che a fine match l'inglese sembri, per l'appunto, un macellaio, con la divisa bianca tutta sporca di sangue (fino ai pantaloncini!) e la fasciatura che ormai è totalmente inutilizzabile. E la foto di Butch che festeggia il pareggio esterno è diventata uno dei simboli della nazionale dei Tre Leoni, quello di un'Inghilterra che non si arrende al dolore.

Backenbauer e Trautmann: la resistenza dei tedeschi al dolore

Ma nessuno al mondo pare avere la resistenza al dolore dei tedeschi. Prendiamo ad esempio Kaiser Franz Beckenbauer, che nella leggendaria semifinale di Messico '70 contro l'Italia gioca buona parte del match con la clavicola rotta. E che problema c'è? Fasciatura, braccio al collo e via, verso un 4-3 che farà la storia e che, per sfortuna del tedesco, sarà a favore degli azzurri. E poi c'è chi ha vinto una FA Cup giocando una ventina di minuti con il collo rotto. Parliamo di Bert Trautmann,portiere del Manchester City, che nella finale del 1956 difende i pali dei Citizens nonostante un infortunio, che solo a fine match si rivelerà in tutta la sua gravità. Basti pensare che al momento di ricevere la medaglia il tedesco non riesce a muovere la testa e che i suoi ricordi del quarto d'ora finale sono perlomeno confusi. Ma com'è che dicono gli inglesi? No pain, no gain? Ecco, appunto.

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