interviste

Dossena: “La Serie B inglese è più bella della A italiana. Vi spiego perché criticano Sarri. Allegri grande gestore ma…”

Sguardo fisso, scatto, avversario nel mirino. Andrea Dossena è stato un terzino vecchio stampo, uno di quelli abituati a calpestare entrambe le linee di fondo dei lati corti del campo nei novanta minuti. All'Italia deve molto, ma l'Inghilterra...

Simone Lo Giudice

(Photo credit should read ROBERTO SALOMONE/AFP/Getty Images)
 (Photo by Giuseppe Bellini/Getty Images)

Dal Dossenina di Lodi ad Anfield, fino al San Paolo. Nel cuore degli Anni '90 Andrea Dossena ha fatto il suo primissimo scatto nel mondo del calcio, poi ha scalato le marce ed è riuscito a far sì che diventasse la sua casa. La sua corsia di sinistra è stata molte cose: a volte un'area da difendere con i denti, altre un terreno di conquista. Studiare l'evoluzione della sua chioma aiuta a capirlo di più: capello ribelle a Udine, testa rasata a Liverpool e faccia da duro che fa molto Premier League. Poi l'età della maturità a Napoli, dove il ragazzone italiano di belle speranze e l'uomo temperato dalla battaglia britannica sono diventati una cosa sola e dove è sfumata sul più bello l'impresa delle imprese in Champions, guarda caso nella sua Inghilterra. Dove Dossena sogna di ritornare un giorno a un passo dalla sua amatissima corsia, questa volta con una giacca sulle spalle e un altro sogno nel cuore.

Andrea, le manca giocare a calcio? Come è stato smettere?

Molto. È difficile provare nella vita quotidiana quelle botte di adrenalina che solo il calcio ti sa dare. Solo il passare del tempo aiuta a metabolizzare un po' l'allontanamento dal campo: nessun giocatore vorrebbe mai staccarsi dal rettangolo di gioco. Col tempo ci fai l'abitudine, il richiamo è sempre meno forte e riesci ad accettare il distacco. Io però voglio tornare presto sul campo e fare l'allenatore. Direttore sportivo, procuratore oppure osservatore: tutti gli altri ruoli non fanno per me. Penso che allenare sia l'unico modo per tornare a vivere quelle emozioni così forti.

Si ispira a qualche allenatore in particolare?

No, però mi piace andare a vedere tutti quelli che danno un'impronta alla loro squadra: ad esempio Gasperini oppure Giampaolo che apprezzo moltissimo, anche se hanno un'idea di calcio diversa e sono quasi agli antipodi. La cosa fondamentale per me è vedere la mano dell'allenatore, mi piace quando basta osservare una squadra per capire chi ci sta lavorando. Voglio che si veda il marchio di un tecnico. I miei preferiti? Guardiola, Conte, Klopp e Sarri.

 (Photo by Adam Davy - EMPICS/PA Images via Getty Images)

Quali differenze ci sono tra Italia e Inghilterra dal punto di vista calcistico? Perché i nostri top club giocano spesso col freno a mano tirato rispetto a quelli della Premier?

Questa è sempre stata la nostra cultura calcistica. In Inghilterra si bada di più allo spettacolo perché tra virgolette il risultato conta un po' di meno. Dopo due sconfitte in Italia hai un processo tecnico-tattico bestiale e la panchina inizia a scricchiolare. In Inghilterra ti lasciano più libero di lavorare e puoi anche rischiare qualcosa in più. Gli allenatori che vogliono fare un gioco propositivo in Italia finiscono per cambiare idea: per non rischiare l'esonero, fanno un gioco più accorto e puntano al pareggio per avere a disposizione più settimane per lavorare. In Italia gli allenatori sono condizionati dal risultato e questo finisce per penalizzare il gioco offensivo. Negli ultimi anni si sono fatti tanti passi in avanti, ma nel complesso restiamo fedeli sempre alla nostra tradizione.

Questo atteggiamento ha condizionato la Juve in Champions? In Premier i bianconeri sarebbero al massimo quarti in classifica?

Confrontare una squadra italiana con quelle di un altro campionato non è produttivo: magari il Manchester City farebbe più fatica in Serie A che in Premier... Con questi paragoni non si riesce a capire la qualità di una squadra. Allegri è un grande gestore e legge benissimo le partite, ma non ha mai saputo dare un'impronta tattica significativa alla Juventus negli ultimi cinque anni. È uno che dà libertà al talento: la sua squadra ha undici ottimi solisti che sanno giocare bene a calcio, ma non ha l'organizzazione che aveva il Napoli di Sarri. Lavorando così sei più imprevedibile, ma avere qualche certezza tattica permette colmare le lacune. Sotto l'aspetto fisico con l'Ajax non c'è stata partita, gli avversari avevano più gamba, come l'Arsenal col Napoli in Europa League. Quando arrivi alle partite da dentro o fuori, l'aspetto fisico conta: quando perdi due o tre duelli, se non lavori di squadra, paghi dazio.

 (Photo by John Powell/Liverpool FC via Getty Images)

Come giudica la stagione del Napoli? Sta pesando la politica al risparmio di De Laurentiis?

De Laurentiis ha scelto l'allenatore più forte e blasonato al mondo e gli ha dato carta bianca. Ad Ancelotti interessava avere gli stessi undici dell'anno scorso a parte Jorginho, che ha lasciato partire. La sua prima stagione al Napoli non è negativa. Sarri aveva detto a De Laurentiis che non avrebbe potuto fare di più senza rinforzi: voleva fare un passo in avanti che non era nelle corde del presidente, che ha deciso di puntare su altro tecnico. Il Napoli di quest'anno non poteva fare meglio di quello di Sarri, ma Ancelotti è fortunato perché il presidente è contento del suo operato e può lavorare su un biennio o un triennio. Il suo lavoro andrà valutato dalla prossima stagione in poi.

Come giudica la partenza di Hamsik a stagione in corso: è stato un brutto colpo per la società?

Forse il Napoli non si aspettava che Marek sarebbe partito, ma il presidente gli doveva qualcosa. Quando il capitano gli ha detto che voleva andare in Cina perché un'occasione del genere non gli sarebbe mai più capitata, il presidente non si è potuto tirare indietro. Al Napoli è andata bene perché vendere un calciatore di 32 anni e incassare così tanti milioni è stato un affare. Forse la società non si aspettava che si sarebbe sentita così tanto la sua mancanza: non era né Cavani, né Lavezzi, né Higuain, ma anche quando c'ero io Marek era un giocatore fondamentale per la squadra.

 (Photo by Ben Radford/Corbis via Getty Images)

Nel 2011-12 lei ha sfiorato i quarti di finale di Champions: negli anni successivi ha rivisto un Napoli forte come quello di Walter Mazzarri in Europa?

A me è piaciuta un sacco la squadra in Champions quest'anno. Appena ho visto il sorteggio del girone ho pensato subito che il Napoli avrebbe dovuto conquistare la qualificazione prima dell'ultima giornata, invece è andato ad Anfield a giocarsi il tutto per tutto. Sfortunatamente è stato costretto a farlo in uno stadio difficilissimo per tutti, dove gioca una squadra che è tra le favorite per la vittoria finale. Forse è mancato qualcosa nel pareggio con la Stella Rossa all'esordio, ma quanto dimostrato dalla squadra nelle doppie sfide con Psg e Liverpool mi ha convinto.

Potresti esserti perso