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Icone politiche e bandiere calcistiche: da Che Guevara a Bobby Sands

Il Rosario Central celebra ancora oggi Ernesto "Che" Guevara, rivoluzionario di professione e tifoso gialloblù per passione. E ci sono molti altri esempi di connubi particolari tra icone della politica e squadre di calcio.

Francesco Cavallini

Il 9 ottobre 1967 moriva, ucciso da un commando dell'esercito boliviano, Ernesto Guevara, per tutti il Che. Rivoluzionario, scrittore e...tifoso del Rosario Central. In Argentina, dove il calcio è vita e identificazione, non si scappa, il tuo club ce l'hai tatuato addosso, esattamente come tanti miti dello sport portano sul corpo il volto di Che Guevara. E Rosario, sulle rive del Paranà, di miti ne sa qualcosa. Come Leo Messi, nato anche lui da quelle parti, ma dell'altra parrocchia, quella dei Newell's Old Boys. Una rivalità aspra, leggendaria, senza vie di uscita: gialloblù o rossoneri. Che Guevara amava il Central e, anche dopo cinquant'anni, il Central non dimentica il Che. Ne canta il nome, ne dipinge il volto, come tanti altri nel mondo. Ma stavolta la politica c'entra poco, è una questione di calcio. Beh, più o meno.

Glasgow: Bobby Sands e Guglielmo d'Orange

Come non è solo questione di calcio quando i tifosi del Celtic Glasgow espongono il giovane viso di Bobby Sands, militante IRA morto durante uno sciopero della fame negli H-Block del carcere di Long Kesh. È una dimostrazione del cuore irlandese della tifoseria degli Hoops, da sempre contrapposta a quella unionista del Rangers. Che infatti rispondono con le loro maglie che celebrano Guglielmo d'Orange, che per i Blues è King Billy, e la sua vittoria nella battaglia del Boyne contro i suoi avversari cattolici. Calcio e politica si mescolano sapientemente, attraverso conflitti secolari che si incanalano su un campo da calcio, dove il giocatore che segna nel derby è il nuovo rivoluzionario. Come Leigh Griffiths, che al secondo gol nell'Old Firm si pulisce il naso con la bandiera dei rivali.

La Croazia e il nazionalismo

I volti, i nomi e le storie, non solo quelle di icone come Che Guevara, si intrecciano e rivelano connessioni inaspettate. Come Davor Suker, tra gli eroi nazionali della splendida Croazia degli anni Novanta (con tanto di terzo posto al mondiale transalpino), finito al centro di un dibattito nazionale per essersi fatto immortalare davanti alla tomba di Ante Pavelić, fondatore e leader degli Ustascia. Ed il nazionalismo è radicato non solo tra i calciatori croati, ma anche tra i tifosi e addirittura in federazione. Nonostante numerose proteste, prima di ogni match della nazionale viene trasmessa Lijepa Li Si, all'apparenza una canzone d'amore, ma che nasconde numerosi riferimenti alla situazione politica della guerra nella ex-Jugoslavia.

Il Beşiktaş e Atatürk

E, rimanendo a sud-est, spicca l'orgogliosa tifoseria del Beşiktaş, il club della parte europea di Istanbul, che tra le insegne bianconere mostra il severo volto di Mustafa Kemal Atatürk, il padre della moderna Turchia, ma anche "il più grande tifoso del Beşiktaş di tutti i tempi". Il sito della squadra ospita una sezione apposita che racconta il legame tra Atatürk e il Beşiktaş, nato durante la Prima Guerra Mondiale durante la battaglia di Gallipoli, in cui otto giocatori bianconeri persero la vita combattendo accanto ad Atatürk, allora capo delle operazioni militari preposte alla difesa dello Stretto dei Dardanelli. E ancora oggi, anche con una certa vena polemica nei confronti di Erdogan, che di Atatürk vorrebbe essere l'erede,Çarşı sventolano bandiere del padre della patria. Per politica, certo, ma soprattuto per una storia che è diventata parte integrante anche dello sport.

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