In fondo è tutta una questione di energia. Per Davide Baiocco lo è sempre stata quando portava gli scarpini: passione, mentalità vincente, coraggio di ripartire sempre. Perugia, Juventus, Catania: tre certezze in una carriera lunghissima a spasso per l'Italia, dalla Serie A all'Eccellenza. A 42 anni il centrocampista ha detto basta, stanco di un calcio in cui non si riconosceva più, fatto di troppi interessi e poco amore. Baiocco ha bussato a più porte per proporre la sua Accademia di perfezionamento calcistico... in cui il calcio non è tutto! Un progetto che si basa sulla crescita personale del ragazzo, sul tutoraggio scolastico e su una sana alimentazione. Ma nessuno ha spalancato il proprio uscio di fronte alle richieste dell'ex centrocampista, che sedici mesi fa è inciampato fortunatamente in un sassolino che gli ha fatto cambiare direzione. Tutto merito di sua moglie, ma anche del destino. Ai piedi dell'Etna, Davide ha trovato la sua meta nel networking, aiutando le persone ad essere migliori... sognando un calcio migliore!
interviste
Baiocco: “Il sistema calcio mi ha stancato, gli ultimi sei anni ho solo perso tempo. Giocare alla Juve mi ha insegnato che…”
Dal calcio al networking: il passo può essere particolarmente breve... soprattutto se il primo ti aveva stancato! Dopo anni di sgroppate, Davide Baiocco ha provato a portare un cambiamento, ma ha trovato di fronte a sé un muro. Nella sua seconda...
Davide, lei ha cambiato molte cose nella sua vita: di che cosa si occupa oggi?
Collaboro con un'azienda americana che incoraggia un corretto stile di vita: benessere, fitness e buona salute. Insieme proviamo a migliorare il modo di vivere della gente. Sono diventato un imprenditore nel network marketing. Lavoro per un'industria che si occupa di promuovere e condividere un prodotto tramite il passaparola. L'ho scoperta sedici mesi fa e la condivido con le persone che conosco, con amici di amici. Alla base di tutto c'è un percorso di crescita del singolo: questa è la cosa che mi appassiona di più della mia nuova attività.
Diceva che è successo tutto sedici mesi fa: come?
Quando l'ho scoperta giocavo ancora: ho smesso a gennaio 2018. Sapevo che mia moglie avrebbe iniziato questa attività part-time da giugno. Inizialmente non avevo prestato particolare attenzione perché ero ancora preso dal calcio. Le ho dato una mano a organizzare un evento e ho conosciuto Fabio Bollini, la persona che ha portato questa azienda in Italia: mi è piaciuto moltissimo il suo modo di porsi. Ho accettato la sfida e sono partito con l'obiettivo di aiutare mia moglie. Dopo i primi quattro mesi della mia nuova vita, ho compreso che avevo perso tempo negli ultimi sei anni di calcio: mi ero illuso di poter fare qualcosa di importante, ma ho capito che non c'è la volontà di cambiare. Il calcio non mi faceva essere una persona migliore.
Perché ha deciso di lasciare il calcio?
Sono successe delle cose che non mi sono piaciute nella squadra con cui giocavo in Eccellenza: hanno mandato via l'allenatore per motivi extra-calcistici. Problemi di soldi, troppe polemiche: queste cose mi davano sempre più fastidio in relazione al nuovo percorso che avevo intrapreso. Ho deciso di chiudere la carriera per dedicarmi alla nuova attività che mi faceva stare bene, mi permetteva di diventare un imprenditore e rappresentava la mia nuova fonte economica. A volte noi vediamo solo il calcio e pensiamo che non ci siano altre cose, ma non è così.
Cullava il sogno di fare l'allenatore?
Sì, è uno dei miei obiettivi. Voglio creare un'Accademia di perfezionamento calcistico sui generis basata sulla crescita personale, sul tutoraggio scolastico e su una sana alimentazione. Un tipo di Accademica diversa da quelle che ci sono già in Italia. Non bastano tecnica e tattica per migliorare i giovani, bisogna dargli la possibilità di diventare persone migliori oltre che calciatori importanti. Volevo mettere a disposizione tutta l'esperienza maturata in venticinque anni di calcio. Ho incontrato tante società: Siracusa, Catania, Alessandria, Agrigento... Si è parlato anche di costruire nuovi centri sportivi, ma erano più i sogni miei che i loro.
Il calcio ha alzato un muro di fronte alle sue proposte?
Ho sentito tante belle parole, ma non esiste meritocrazia e quando si deve investire si temporeggia. Pochissime società lo fanno per progetti a lunga scadenza. Quasi tutti investono solamente nella prima squadra, pochissimi sulla crescita dell'azienda. Mi piace quello che sta facendo il Parma che è partito da zero e sta lavorando tanto sulla comunicazione. Servirebbe un'operazione centralizzata con Lega, istituzioni scolastiche e società in gioco. In Francia e in Inghilterra lo hanno fatto. Anche noi ce la possiamo fare, ma bisogna volerlo. Mi ha stancato il sistema e questa tendenza a non voler crescere. Poi non mi piace l'ambiente che ruota attorno al calcio: polemiche, problemi e persone che si accontentano. Questo sport oggi non fa venire fuori la parte migliore di noi stessi.
Che differenze ha trovato tra il calcio dei suoi inizi e quello che ha lasciato?
Gli interessi delle società si sono evoluti in maniera esponenziale. Il mio calcio era più puro ed era alimentato da valori più genuini. Non so se sia solo una questione legata ai soldi o se ci sia dell'altro... Quando ho cominciato io c'era più meritocrazia: ho giocato nel campionato Interregionale a diciassette anni perché ero bravo e me lo ero guadagnato. Oggi spesso scendi in campo perché sei una risorsa economica per la società e non perché sei sempre pronto o te lo meriti. Questo modo di pensare ha influito negativamente anche sulla qualità dei giocatori.

I social network fanno bene ai calciatori?
Aiutano tutte le persone che li sanno utilizzare con intelligenza. Anche per me da imprenditore possono essere un'arma a doppio taglio se non li uso bene. Sono preziosi perché danno la possibilità a chi ti segue di starti vicino e vedere che cosa fai. Noi siamo degli esempi per le persone: basta una nostra frase sui social per ispirare gli altri a fare di più e a non accontentarsi. Un tempo non li usavo, oggi li considero importantissimi.
Lei da calciatore ha giocato al Perugia, alla Juve e al Catania: che cosa ricorda di quelle esperienze?
Sono le squadre delle tre città che hanno caratterizzato di più la mia vita. Perugia mi ha offerto la possibilità di giocare in A, Torino mi ha dato notorietà e mentalità vincente, Catania oggi è la mia seconda casa. Il percorso di crescita che ho intrapreso tiene conto del passato perché è qualcosa che ha caratterizzato le mie scelte. Tutte le esperienze, belle e brutte, mi hanno permesso di diventare una persona migliore, anche sbagliando a volte. Il passato insegna sempre a crescere.
Nell'estate 2002 è passato alla Juve e ha vinto la Supercoppa italiana da protagonista: ha un pizzico di rammarico per come sono andate le cose a Torino?
Con la mentalità che avevo allora un po' di rammarico c'era per non essere riuscito a dimostrare il mio valore. Oggi penso che in quel momento non avevo gli strumenti giusti per dare qualcosa di più. Ho avuto la fortuna di giocare in uno dei club più importanti al mondo. Alla Juve ho capito cosa significa avere mentalità vincente stando vicino a campioni come Del Piero, Buffon e Trezeguet: erano al top dal punto di vista professionale ed economico, ma volevano migliorarsi sempre. Lì ho capito che le persone di successo non si accontentano mai.
Catania è diventata la sua casa: perché l'ha scelta?
Mi sono innamorato della Sicilia, di Catania, del mare, del sole, del clima e della gente che sa godersi appieno ogni istante. La vita è fatta di equilibrio: in settentrione ci sono ordine e organizzazione, in meridione c'è più leggerezza. Il connubio tra la precisione del Nord e la spensieratezza del Sud sarebbe perfetto. Ciascuno però deve scegliere l'ambiente che gli è più confortevole. Io penso che potrei vivere in entrambi i posti, però il Sud ti dà tante cose: il sole mette di buon umore e fa stare bene. Sono cose che migliorano la qualità della vita.

Nel 2007-08 con Walter Zenga in panchina avete ottenuto una salvezza che è valsa uno scudetto...
Per come è arrivata sì: all'ultima giornata di campionato contro la Roma. Ci sono stati momenti incredibilmente esaltanti a Catania come la vittoria del campionato di B nel 2005-06 e il sesto posto alla prima stagione di A alla fine del girone di andata. Ma ci sono state anche situazioni difficili come la morte dell'ispettore Filippo Raciti e i sei mesi di trasferte forzate. Evitare questi incidenti è possibile: in Inghilterra sono riusciti a risolvere il problema degli hooligans imponendo regole di comportamento piuttosto rigide. L'immagine di Catania è stata danneggiata e penalizzata per molti anni da quell'episodio.
Lo scorso febbraio la Pro Piacenza a rischio radiazione è scesa in campo contro il Cuneo senza staff tecnico e solo coi ragazzini: è finita 20-0. Chi governa il calcio dovrebbe evitare queste situazioni?
È impossibile non sapere quanti investimenti fanno le società e quanti soldi tornano indietro nelle loro casse. La Lega e le istituzioni sanno come funziona un'azienda che fa calcio. Alcune squadre non pagano, altre giocano coi ragazzini: accettare queste situazioni significa non essere intenzionati a cambiare le cose. In passato sono stati fatti gravi errori: solo nel calcio è possibile spalmare un debito di duecento milioni in venticinque anni accumulando magari altri debiti.

Quali sono le soluzioni per un calcio migliore?
Secondo me sarebbe tutto risolvibile. Alle squadre che dimostrano di essere inaffidabili dal punto di vista economico dovrebbe essere negata la partecipazione al campionato all'inizio della stagione. Sappiamo quali sono le società sane che hanno rispettato gli impegni presi e che hanno una progettualità futura. In Francia le risorse vengono ripartite tra i club che hanno centri sportivi, giovani in prima squadra e tecnici abilitati nei centri federali nazionali. Basterebbe copiare i modelli che già funzionano, ma la presunzione ci porta a dire che siamo più bravi e facciamo di testa nostra. Oggi siamo stati superati da tantissime realtà che un tempo erano alle nostre spalle.
Un giorno tornerà in campo?
Sicuramente sì, ma solo quando il calcio sarà migliore.
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