Salvatore “Sasà" Aronica. Specialista in miracoli. Salvezza con la Reggina, approdo in Champions e vittoria in Coppa Italia con il Napoli. Chiusura, agrodolce, a Palermo dove non è stato profeta in patria. È però rimasto in Sicilia. E al momento attuale, è casa...vacanze (inteso come investimento) e pallone, nelle giovanili del Trapani. E si racconta...
interviste
Aronica: casa…vacanze e campo: “Mazzarri un padre, Cannavaro un fratello. Iachini invece…”
La "seconda vita" di Salvatore Aronica si divide fa calcio (allena la Berretti del Trapani) e attività imprenditoriali nel settore turistico-ricettivo.
Di cosa si occupa adesso?
Ho iniziato da circa un mese il percorso di allenatore, ho preso in carico la Berretti del Trapani. Mi sono immerso di nuovo nel mondo che mi è appartenuto per molti anni. Da quando ho smesso, mi sono dedicato anche su altre attività turistico-ricettive. Ho fatto degli investimenti in case vacanze e questo mi ha tenuto impegnato. Il primo amore resta comunque il calcio.
Quale periodo ricorda con maggior piacere?
Il periodo di Napoli, cinque anni intensi, la vittoria della Coppa Italia, la Champions, essere sempre protagonisti nelle parte sinistra della classifica. Ricordo con piacere e orgoglio quel quinquennio. Mi ha forgiato come uomo e calciatore.
Cosa cancellerebbe invece?
La parentesi Palermo è stata deleteria. Dopo gli anni a Napoli non sono stato in grado di esprimermi. Iachini mi mise fuori rosa senza alcun motivo. Se avessi fatto una scelta diversa avrei giocato un anno in più.
Iachini è il tecnico con cui ha legato di meno?
Con Iachini non ho legato anche perché non ci ho proprio lavorato. Anche con Gattuso non ho avuto il tempo e il modo, ma solo perché è andato via subito dopo poche settimane. Iachini invece mi ha tenuto praticamente due anni fuori rosa.
Il miglior amico fra i calciatori?
Paolo Cannavaro. Abbiamo condiviso gli anni e la camera, ma non solo in ritiro. Abbiamo fatto anche viaggi extra sportivi con le famiglie. Lo ritengo il calciatore a me più vicino e mi sono legato con lui fuori dal campo.
L’avversario più “odiato”?
Devo dire che l’avversario più complicato da incontrare è stato Ibrahimovic. Grande campione grandissimo giocatore. Per giocarci contro, a volte, occorreva ricorrere alle maniere forti. In campo c’è stato anche qualche screzio e qualche parolina di troppo ma finiva tutto nei 90’ di gioco.
Qual è stato il suo orgoglio più grande?
La salvezza con la Reggina. Ci salvammo a fine campionato da -11 dopo essere partiti da -15. Riuscimmo in una vera impresa a tal punto da ricevere la cittadinanza on oraria. Ricordo un aneddoto in particolare: il discorso di Mazzarri prima di Crotone in Coppa Italia, quando si seppe la sentenza. Il mister ci disse chi vuole restare mi segua, chi vuole andare vada. La squadra si unì e iniziò a lottare senza calcoli. E riuscì in un’impresa figlia di un gruppo di uomini prima che di calciatori.
Il legame con Mazzarri è intenso...
Ho lavorato con lui a Napoli e Reggio. Allenatore in campo, fuori una guida per i tanti consigli che mi ha dato, sia da uomo, sia da padre. Una persona che stimo apprezzo e a cui voglio bene. Gli auguro il meglio, mi ha forgiato come uomo.
Ha qualche rimpianto?
Non ho grandi recriminazioni. Sono partito dalla gavetta. Poi la Juventus. Se dovessi proprio cercare il pelo nell’uovo, forse sarei potuto arrivare prima in serie A. Ma con grande sacrificio e voglia ho raccolto quello che ho seminato.
Lei allena i giovani della Berretti, cosa consiglia ai giovani che iniziano?
In generale occorre lavorare molto sui settori giovanili. Personalmente alleno dei ragazzi, sono molto più vicini a essere adulti che bambini e a loro consiglio di affacciarsi alla prima squadra lavorando duro. Sono davanti a un bivio: devono decidere cosa fare. O diventano professionisti o smettono.
Come si affronta la fine della carriera?
Il calcio è una bellissima parentesi. Ho avuto una carriera lunga, vissuta con grande serenità. Bisogna accettare anche l’idea dell’addio al calcio giocato. La vita continua bisogna avere la forza e la voglia di occuparsi anche di altro. Non esiste solo il calcio. Chiaramente, se possibile coltivare la passione di un mestiere che si è sempre fatto, ma senza esserne ossessionati.
© RIPRODUZIONE RISERVATA