Oggi vi raccontiamo una vicenda relativa ad una piccola realtà che sta meritando le attenzioni internazionali: quella dell’isola delle pecore, secondo una delle letture etimologiche. Sì, ma pecore sportive che si ribellano al cane danese che non le segue e si rivolgono direttamente al pastore Comitato Internazionale Olimpico. Le isole Far Oer sono un arcipelago, situato a nord della Gran Bretagna e a metà tra Islanda e Norvegia, con meno di cinquanta mila abitanti che però non sdegnano praticare dello sport. Questo insieme di isole, nonostante la forte identità culturale propria degli abitanti, è politicamente dipendente dalla Danimarca, paese virtuoso ed evoluto a livello sociale, una delle nazioni, senza dubbio, da vedere almeno una volta nella vita. Sì, certo, non è detto che un paese virtuoso debba essere perfetto; non è un luogo comune quello sull’alta qualità della vita in nord Europa ma anche loro avranno il diritto di avere qualche difetto, che però solo vivendoci si può comprendere a fondo. CI pensano i Faroesi a portare a galla, in quel mare così freddo, una mancanza da non sottovalutare.
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Far Oer: diciotto isole, cinquantamila abitanti e cinque cerchi?
Le Far Oer vogliono poter portare la propria bandiera alle olimpiadi e non più quella della ‘madre patria’. Si attende la risposta del Comitato Internazionale Olimpico e… si pensa anche alla politica?
FAR OER: QUI C’È VITA
Innanzitutto, va ricordato che da diversi decenni l’arcipelago vanta una sua rappresentativa nazionale in diverse discipline tra le quali il calcio: si pensi che dal 1984, i faroesi partecipano alle para-olimpiadi e che al pari dell’Italia, per dirne una illustre, non sono riuscite a qualificarsi per i mondiali. A loro è toccato l’infausto compito di interfacciarsi col Portogallo di Cristiano Ronaldo mentre gli azzurri si occupavano dell’altra metà della penisola iberica. Ma per quanto riguarda le discipline olimpiche? Beh, è proprio qui la magagna.
… E SPORT
I faroesi possono accedere alle olimpiadi solo per intercessione della bandiera rossa con la croce bianca della Danimarca. Il punto è che a quanto pare gli atleti non mancano e allo stesso modo non mancano le proteste portate direttamente sotto gli occhi del CIO (Comitato Internazionale Olimpico). A quanto pare la Danimarca è reietta ad aprire i rubinetti per patrocinare lo sport nell’arcipelago e questa situazione non è molto gradita dagli isolani appassionati di sport.
RICONOSCIUTI MA NON TROPPO
Il vice presidente del comitato olimpico faroese, Jon Hestoy, ha parlato ai microfoni della BBC di questa spinosa questione: c’è una confederazione sportiva nazionale dal 1948; un comitato olimpico dal 1982; un’abilità, acquisita per necessità, di auto-finanziamento; e allora perché concedere le proprie risorse e il proprio sudore alla gloria danese? Hestoy sente che l’ago della bilancia del CIO abbia buone probabilità di pendere dalla sua parte visto che le Far Oer sono già riconosciute da molti organismi internazionali come l’Unesco e l’Organizzazione Internazionale Marittima.
LA PUNTA DELL’ICEBERG
Ma la questione sportiva pare essere la sola punta dell’iceberg (paragone più che necessario, visto il parallelo in questione). Il vice presidente di tale comitato olimpico ha anche sottolineato come la forte identità faroese cominci a sentirsi soffocata dalla bandiera della sirenetta. Hestoy evidenzia come, essendo più vicini geograficamente a Norvegia, Scozia e Islanda e avendo una propria lingua, il farigio, la loro relazione politica con la Danimarca meriterebbe un dibattito più ampio. Anche perché non è solo l’amministrazione sportiva (con relativa mancanza di finanziamenti) ad essere delegata all’amministrazione locale ma anche l’educazione, le tasse e la pesca.
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