“La Roma? Non è chiusa affatto”: batosta a Trigoria, salta anche il prescelto

Giorni convulsi a Trigoria, le scelte dei Friedkin ancora una volta hanno sorpreso e diviso. Così salta il prescelto alla Roma.
Tutto e il suo esatto contrario. Si sono presentati a Trigoria promettendo di portare la Roma di nuovo ad alti livelli. Parole importanti quelle proferite nel giorno dell’insediamento dei Friedkin, ormai un lustro fa. Parole importanti a cui hanno fatto seguito silenzi assordanti.
Rare volte intravisti in città, Nessuna conferenza stampa, poche dichiarazioni pubbliche, zero esposizione mediatica. Una vita monastica quella dei Friedkin finora, inversamente proporzionale alla vivacità, mediatica e quotidiana, di una piazza che si nutre quotidianamente di Roma.
Dei proclami fatti cinque anni fa, c’è ben poco dei Friedkin. Certo, l’avvento di Mourinho ha riportato un trofeo che mancava da illo tempore a Roma, ma la fine traumatica dell’esperienza dello Special One (c’è ancora chi lo rimpiange), il breve ciclo di Daniele De Rossi, la fallimentare scelta di Juric prima che Ranieri rimettesse tutto quasi apposto, non sono certo piaciuti al popolo giallorosso.
La pazienza del tifo romanista – notoriamente passionale, viscerale, esigente – è messa a dura prova da una gestione che appare spesso lenta, indecifrabile, eccessivamente riservata. La lunga attesa per l’annuncio del nuovo direttore sportivo, dopo l’addio di Tiago Pinto, solo un esempio.
L’erede di Ranieri
Anche per trovare l’erede di Claudio Ranieri, lui sì irremovibile nella decisione di porre fine alla carriera da allenatore, molto prima di sapere se la Roma fosse stata fuori dalle coppe o andasse in Conference, Europa League o Champions, storia di un copione già visto. Letto e riletto.
Tempi biblici, entro i quali sono usciti miriadi di nomi possibili, immagini. Un casting iniziato addirittura a Londra, dove i Friedkin hanno incontrato gli entourage di tantissimi allenatori, molto diversi tra loro. Il “modello Friedkin” è evidentemente ispirato al pragmatismo americano: decisioni ponderate, pochi fronzoli, nessuna concessione all’emotività. Un approccio professionale e discreto che cozza con Roma.

Tutto e il suo esatto contrario
Si è passati in un amen da Ancelotti a Mancini, da Allegri a Montella. Sono usciti nomi incredibili, da Nuno Espiritu Santo perfino alla Klopp. Alla fine la scelta è ricaduta su Gian Piero Gasperini, quasi casualmente. Perché?
Perché qualche giorno prima dell’incontro nella tenuta fiorentina dei Friedkin con il Gasp, la proprietà – per mano del fido Florent Ghisolfi – aveva fatto l’ennesimo tentativo sui generis, andando a parlare con il Como per liberare Cesc Fabregas, già nel mirino di Milan e Inter. Per i Friedkin era lui il prescelto. Impossibile prenderlo con queste tempistiche: mentre i Friedkin pensavano a Cesc Fabregas, il Como aveva già prospettato programmi e ambizioni allo spagnolo, agli Hartono (la proprietà dal patrimonio più alto in Serie A) è bastato pareggiare l’offerta della Roma per blindare il proprio allenatore. E da qui si è andati all-in su Gasperini.