“Me ne andai via da Roma senza dire nulla”: il tecnico confessa tutto dopo decenni I “Non dovevo lasciarla”

Il retroscena da brividi di un ex allenatore della Capitale che confessa tutto dopo decenni. Rivelato il motivo della sua breve esperienza.
Non è facile allenare una piazza importante come quella di Roma, a volte un’impresa e non solo per la forte rivalità tra le opposte tifoserie. È una città che vive il calcio quotidianamente con infinite trasmissioni radiofonico, non importa se giallorosse o biancocelesti.
Il derby a Roma è tutti i giorni, per strada, nei bar o in tv, non si perde occasione per attaccare, con il classico spirito della Capitale, questa o quella squadra. Solo in pochi riescono a gestire questa cassa di risonanza gigantesca.
La storia è piena di allenatori che non hanno retto la pressione e sono andati via. Altri hanno allenato sia Roma che Lazio. Come Gigi Simoni, grazie alla sua eleganza e pacatezza, al netto dell’iconico gestaccio del fallo di Iuliano su Ronaldo il Fenomeno nell’epico Juventus-Inter del 1998. Eppure Simoni è sopravvissuto nella Capitale, sia allenando la Lazio nella stagione 1985-1986, sia la Roma dieci anni dopo, anche se per un breve periodo.
Perfino Delio Rossi è un ex di Roma e Lazio. Una fugace esperienza nel 1997 non gli ha impedito tra il 2005 e il 2009 di guidare la Lazio, uno degli allenatori più amati dalla tifoseria biancoceleste, con annessa Coppa Italia vinta nel 2009.
L’anello di congiunzione
L’esempio degli esempi è stato senza ombra di dubbi Zdenek Zeman, ricoverato in questi giorni al Gemelli in prognosi riservata. Il boemo è stato uno degli allenatori più iconici ad aver guidato entrambe le squadre. Alla Lazio (1994-1997) ha costruito un gioco spettacolare, valorizzando talenti come Beppe Signori e Pavel Nedved. Alla Roma (1997-1999 e 2012-2013) ha riproposto il suo calcio ultra-offensivo, senza conquistare trofei, ma entrando nel cuore dei tifosi.
Un po’ come il compianto Sven Goran Eriksson, l’anello di congiunzione tra Roma, Lazio e i trofei: nel suo triennio giallorosso (1984-1987) alzò una Coppa Italia, alla Lazio si superò portando l’Aquila fino allo scudetto del 2000, mettendo in bacheca anche una Coppa Italia e Supercoppa Europea.

Vorrei ma non posso
Cesare Prandelli avrebbe dovuto allenare la Lazio: “Mi chiamò Lotito, mi tenne prigioniero 24 giorni e mi disse di non ascoltare altre proposte che nel frattempo invece arrivavano. Poi presero Simone Inzaghi“. Ora la prende a ridere l’ex commissario tecnico dell’Italia, che a Roma alla fine si è seduto sulla panchina giallorosso, anche se fu una fugace apparizione.
“La Roma era un sogno – ricorda Prandelli sempre in uno stralcio di una recente intervista a La Stampa – ma è successo quello che si sa”. Un triste passato diventa presente. “Manuela, mia moglie, già malata, ebbe una recidiva, non potevo lasciarla sola, le cure erano importanti, toste”. Cesare Prandelli non se la sentì di allenare in quella piazza da tutto e il suo esatto contrario: “Alla Roma c’era la famiglia Sensi e Franco Baldini. Sono stati meravigliosi – chiosa – salutai i ragazzi senza dire nulla”. Eppure i tifosi della Capitale non dimenticano, quando si seppero le motivazioni, tutto a chiamarlo. Questa è Roma, a prescindere dal giallorosso o dal biancoceleste.